Sussidio di Quaresima 2018 – Settimana Santa
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Settimana Santa
Lunedì 26 marzo 2018
Spirito santo,
a te affidiamo questo nostro cammino quaresimale
che sta per volgere al termine:
continua a guidarci
e la settimana che si apre
ci trovi pronti
a fare memoria
a celebrare
a vivere
il mistero della Pasqua di Cristo,
salvezza per tutta l’umanità. Amen.
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 15, 16-20)
Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano. Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. 20Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Riflessione: Come Agnello condotto al macello
La tragedia della passione è diventata possibile perché Dio si è fatto uomo, perché l’Immortale è diventato mortale, perché, come dice S. Agostino, il Pane ebbe fame, la Via sperimentò la stanchezza, l’acqua ebbe sete, Colui che è la pienezza della gioia soffrì dolori inenarrabili. La somma Giustizia è stata condannata, l’Innocenza è stata ritenuta colpevole, l’Infinito rinchiuso nel finito, l’Eterno nel tempo.
Siamo di fronte a Uno sconfitto, a un Giustiziato, a un Condannato. Un Condannato, un perdente che sprigiona da sé tutta questa ricchezza di luce, di amore, di speranza e di vita rivela la presenza e la potenza di un Mistero che non è riducibile alle categorie umane e per questo, paradossalmente, rivela proprio nel buio una luce abbagliante davanti alla quale non possiamo che inginocchiarci e adorare.
E’ proprio vero, egli non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi. Ma c’è un’affermazione ancora più sconcertante:” Non ne avevamo alcuna stima”.
E’ logico. Un suppliziato, e per di più mediante il supplizio infamante della croce, non suscita né ammirazione né stima. Egli è addirittura uno scandalo, cioè un impedimento, perché appare come un “castigato” da Dio. Ma ecco il motivo per cui avrà successo e onore, perché Egli soffre non per i suoi peccati ma per i nostri. Noi abbiamo peccato ed egli ha preso su di sé le conseguenze drammatiche del male da noi compiuto. Egli soffre da innocente. Per le sue piaghe siamo stati guariti. Il suo dolore è la misura del suo amore. Attraverso il suo dolore si manifesta l’amore che perdona e ci salva. Il massimo dolore diventa la chiave della speranza perché il suo dolore ci rivela il Mistero che ci supera e ci trascende, l’amore di Dio più grande del male che noi siamo capaci di compiere. Ci sono due tipi di dolore, il dolore disperato, subìto, cieco e quello offerto, donato, accolto per amore. Quello di Gesù è di questo secondo tipo, è un dolore che ha un significato, che è offerto a Qualcuno, è un dolore che esprime un amore grande e compie la salvezza di coloro che sono amati. “Era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori”.
Preghiamo
Visita, Signore, il tuo popolo,
proteggilo con il tuo amore premuroso,
perché custodisca con il tuo aiuto
i doni che ha ricevuto dalla tua misericordia.
Concedici di essere nel mondo
testimoni del tuo amore e della tua opera di salvezza.
Donaci la sapienza del cuore
e custodiscici nel tuo amore. Amen.
Martedì 27 marzo 2018
Spirito santo,
a te affidiamo questo nostro cammino quaresimale
che sta per volgere al termine:
continua a guidarci
e la settimana che si apre
ci trovi pronti
a fare memoria
a celebrare
a vivere
il mistero della Pasqua di Cristo,
salvezza per tutta l’umanità. Amen.
Dalla lettera agli ebrei (Eb 5, 7-14)
Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek.
Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare perché siete diventati lenti a capire. Infatti voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste essere maestri, avete ancora bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ora, chi si nutre ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante l’esperienza, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male.
Riflessione
L’immagine dell’Agnello condotto al macello è quanto mai eloquente, dice la mitezza e l’obbedienza di Gesù di fronte alla violenza dei suoi nemici. Egli, dunque, non è un condannato, non è uno sconfitto, anzi è Lui il vincitore perché oppone la bontà, la dolcezza, la mitezza, il sacrificio di sé alla prepotenza, all’odio, alla crudeltà, alla perfidia dei suoi persecutori. Egli innocente si offre per i colpevoli e noi colpevoli siamo perdonati e guariti per il suo amore.
Viene sepolto con gli empi e con il ricco fu il suo tumulo, dice Isaia. Qui il profeta si riferisce al tempo dell’esilio quando gli ebrei si trovavano in terra straniera e venivano seppelliti in questa terra pagana caratterizzata da ricchezza e benessere. Il ricco, in questo caso, evoca piuttosto una situazione di contaminazione col mondo pagano. Gesù allo stesso modo è stato annoverato fra i malfattori, è stato ucciso fuori della città santa ed è rimasto in balia dei pagani fino all’ultimo respiro.
Le parole del brano di Isaia sono però di grande speranza e di grande conforto. Vedrà una discendenza, vivrà a lungo, vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza.
Il servo di Jahwè, cioè Gesù, proprio a causa del suo sacrificio vedrà una sconfinata discendenza. Il suo supremo sacrificio sarà fecondo di vita, darà la vita. Ecco il paradosso, la morte che dona la vita. Attraverso questo dono di sé egli, che è la vita, darà la vita a tutti e si sazierà della sua conoscenza. Questa conoscenza è la conoscenza di Jahwè. Gesù, dopo il suo intimo tormento, entrerà nella piena conoscenza del Padre. Ma noi sappiamo che conoscenza nel linguaggio semita non vuol dire solo conoscenza intellettuale o razionale, ma vuol dire possesso pieno e totale. Ecco Gesù, dopo la sua passione, condividerà col Padre, anche come uomo, la sua stessa pienezza della vita, dell’essere e dell’amore.
E’ quello che dice anche un brano della lettera agli ebrei.
Gesù è il grande sommo sacerdote che ha attraversato i cieli. Questo vuol dire l’affermazione che si è saziato della sua conoscenza. Gesù dopo la sua risurrezione si è assiso alla destra del Padre nei cieli e condivide con Lui la gloria dell’eternità. Non solo, ma in questo modo è andato a preparare un posto anche per noi. I cieli li ha riaperti Lui per noi col suo sacrificio. A questo trono celeste dobbiamo continuamente accostarci perché, come dice il testo, questo è il trono della grazia e la grazia suprema è proprio la croce di Gesù. E’ attraverso di essa che Gesù mi ha aperto i cieli, mi ha fatto erede della vita eterna e della gloria di Dio e tutto questo per grazia, gratuitamente, per misericordia.
Questa grazia è costata un caro prezzo, direbbe Bonhoeffer, tant’è vero che il testo dice letteralmente che egli “offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà”.
Gesù non ha conosciuto il peccato ma ha conosciuto in pieno i suoi frutti, prima di tutto il dolore di cui le forti grida e lacrime sono il drammatico segno. Ma la sua preghiera fu esaudita; io credo che si possa intendere con la gioia della risurrezione, con il dono della vita eterna. Per questo obbedire a Lui che ha obbedito, a Lui che con la sua obbedienza ci ha mostrato la fecondità dell’amore, vuol dire sperimentare la stessa gioia, la stessa fecondità di vita, la stessa ricompensa di amore.
Preghiamo
Visita, Signore, il tuo popolo,
proteggilo con il tuo amore premuroso,
perché custodisca con il tuo aiuto
i doni che ha ricevuto dalla tua misericordia.
Concedici di essere nel mondo
testimoni del tuo amore e della tua opera di salvezza.
Donaci la sapienza del cuore
e custodiscici nel tuo amore. Amen.
Mercoledì 28 marzo 2018
Spirito santo,
a te affidiamo questo nostro cammino quaresimale
che sta per volgere al termine:
continua a guidarci
e la settimana che si apre
ci trovi pronti
a fare memoria
a celebrare
a vivere
il mistero della Pasqua di Cristo,
salvezza per tutta l’umanità. Amen.
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 1-5; 12-30)
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.
Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!»…
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo.
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Riflessione: La croce è una festa
Concludiamo il nostro cammino quaresimale contemplando il quadro della Passione. Cominciamo dall’arresto di Gesù. Esso avviene dopo il coraggioso interrogatorio del Maestro a coloro che sono venuti a prenderlo. “Chi cercate”? Davvero bisogna cercare Gesù, ma non con quello spirito e con quell’intento. Alla loro risposta: ”Gesù nazareno”, egli replica: ”Sono Io”! Ed essi stramazzano a terra dando all’indietro. “Sono Io” è l’espressione dell’offerta, come dicesse: ”Eccomi, prendetemi”!
Mi viene in mente l’espressione dolcissima e drammatica di Isaia: ”Dissi eccomi, eccomi a gente che non invocava il mio Nome”. Gesù è l’ “eccomi” del Padre.
Anche Lui dice il suo “eccomi” a chi non solo non invoca il suo nome, ma addirittura lo invoca per condannarlo. Gesù si offre alla turba per inaugurare definitivamente, con la consegna di sé, il suo regno di amore. Ma queste parole “regno”, “re” preoccupano Pilato. “Tu sei il re dei giudei”? gli domanda preoccupato. Questa categoria politica, per lui uomo della politica, lo disturba, gli mette ansia. Ma Gesù lo tranquillizza subito. Non si tratta di un regno politico, umano, non ci sono problemi di concorrenza, anzi Gesù devia subito il discorso sul tema della verità, tema scabroso e scomodo per il pagano Pilato. Che cos’è la verità! Esiste la verità? Si può trovare la verità? Chi ci assicura che quella sia la verità? Pilato è uno scettico, oggi si direbbe, un relativista, forse un nichilista. Ma l’evangelista Giovanni mette proprio in bocca a Pilato un’affermazione che non può essere casuale, al contrario, credo abbia un chiaro obbiettivo teologico: ”Ecco l’uomo”! Lui che parla di regno dei cieli, che parla di verità, Lui e Lui solo è l’uomo, l’uomo vero, pieno, intero. Non posso qui non far riferimento alla Cupola di S. Maria del Fiore, il Duomo di Firenze, dove è dipinto il giudizio universale. Qui Gesù risorto, che è avvolto nella gloria, viene indicato con la scritta “Ecce homo “. Solo Lui è l’uomo, perché solo Lui è il Risorto.
Ma poco dopo Pilato non si limita a proclamarlo uomo, lo proclama addirittura Re: ”Ecco il vostro Re”! “Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litostroto, in ebraico Gabbatà. Era la preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno”. S. Giovanni intende sottolineare questo momento attribuendogli una particolare solennità e un valore chiaramente teologico. E’ quasi un’intronizzazione drammatica, ma solenne che vale per sempre. Di questa proclamazione Giovanni sottolinea il luogo importante e autorevole, il tribunale, il nome, sia in greco, sia in ebraico e perfino l’ora: verso mezzogiorno.
Gesù è il Re che, come dice la radice del termine latino, (rex, regis) regge, regge l’universo, regge ogni uomo, dà consistenza a tutta l’esistenza proprio mediante questa sua singolare e drammatica regalità. In questo consiste il nuovo regno da Lui a così caro prezzo instaurato.
Una volta crocifisso i soldati si dividono le vesti secondo quanto dice anche il sal 22.
Qualcuno vede nella tunica cucita tutta d’un pezzo un simbolo del sacerdozio di Cristo sulla croce in quanto il sommo sacerdote doveva avere una veste senza cuciture.
E’ dunque sulla croce che Gesù esercita il suo sommo sacerdozio e offre il suo sacrificio in espiazione dei peccati del mondo. Non per nulla spesso, per esempio nel duomo di Lucca, ma anche in quello di S. Sepolcro, Gesù sulla croce viene rappresentato con abiti sacerdotali perché è con l’offerta libera e totale di sé che consuma il suo sacrificio in cui è sacerdote e vittima al tempo stesso.
A questo sacrificio supremo Gesù associa anche sua Madre. “Donna ecco tuo figlio”, indicando Giovanni e a Giovanni: “Ecco tua madre”! “Quale scambio! dice S. Bernardo, “Ti viene dato Giovanni al posto di Gesù, il servo al posto del Signore, il discepolo al posto del Maestro, il figlio di Zebedeo, al posto del Figlio di Dio, un semplice uomo al posto del Dio vero”. (S. Bernardo, Liturgia delle ore del 15 settembre) Ma anche questo fa parte del grande disegno di amore del Padre. Maria ha una parte insostituibile in questo sacrificio. E dopo che tutto si è compiuto e, secondo il verbo greco originale “tetelestai”, (da telos che vuol dire fine, scopo),tutto ha raggiunto il suo fine, il suo scopo, il suo compimento pieno, dopo che l’uomo mediante il sacrificio di Gesù, è entrato nel santuario del cielo, della vita eterna, il colpo di lancia del soldato al fianco di Gesù fa sgorgare sangue e acqua. E’ il momento delle nozze mistiche. Dal cuore di Gesù addormentato nel sonno della morte scaturisce la sua sposa amata, la Chiesa simboleggiata dall’acqua e dal sangue, nuova Eva, la vera Madre di tutti i viventi. La Chiesa, infatti con l’acqua del battesimo e il sangue dell’Eucaristia, genera alla vita eterna i suoi figli.
Gesù, dunque, con la sua morte, realizza in pieno la figura dell’Agnello pasquale, immolato per noi, al quale, come si legge nel libro dell’Esodo, non viene spezzato alcun osso. E’ Lui il vero agnello il cui sangue ci risparmia dalla morte, è lui l’agnello condotto al macello per noi, è lui l’agnello che ha preso su di sé il peccato del mondo, è lui l’agnello che si unisce in eterno alla sposa, alla santa Gerusalemme che scende dal cielo splendente della gloria di Dio.
Ora possiamo comprendere e gustare quelle parole di Isaia che a prima vista sembrerebbero assolutamente fuori luogo quando il profeta affermava che il Servo di Jahwè avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente. E’ lo stesso paradosso e lo stesso stupore che ritroviamo in S. Giovanni Crisostomo quando afferma che la croce è una festa.
“Oggi il Signore nostro Gesù Cristo sta in croce e noi facciamo una festa, perché tu capisca che la Croce è una festa…Prima sì la croce significava disprezzo, ma oggi la croce è cosa venerabile, prima era simbolo di condanna, oggi è speranza di salvezza…questa croce è la distruzione dell’inimicizia, la sorgente della pace, lo scrigno del nostro tesoro…Grazie alla croce non c’è più vedovanza, abbiamo lo sposo…grazie alla croce non abbiamo più paura del tiranno, siamo al fianco del re; e perciò facciamo festa celebrando la memoria della croce.
(S. Giovanni Crisostomo, De cruce et latrone, I, 1, 4)
Preghiamo
Visita, Signore, il tuo popolo,
proteggilo con il tuo amore premuroso,
perché custodisca con il tuo aiuto
i doni che ha ricevuto dalla tua misericordia.
Concedici di essere nel mondo
testimoni del tuo amore e della tua opera di salvezza.
Donaci la sapienza del cuore
e custodiscici nel tuo amore. Amen.