Sussidio di Quaresima 2018 – V Settimana di Quaresima

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V Settimana di Quaresima

Lunedì 19 marzo 2018

Vieni Spirito santo,

c’è un posto speciale per te nel nostro cuore:

vieni stabilmente in noi!

Abita in noi e prega in noi:

la preghiera sgorgherà allora continua dal nostro cuore

e noi canteremo la misericordia di Dio

che supera ogni attesa

e ogni desiderio. Amen.

 

Dalla prima lettera di S. Giovanni Apostolo (1 Gv 1,1-3)

Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi.

 

Riflessione: La Vita si è fatta visibile

Dopo il tema di Gesù, acqua viva, consideriamo ora quello di Gesù Luce che mette in fuga le tenebre. Gesù dunque è tutto: l’acqua che dà la vita, la luce che dà senso e bellezza all’esistenza, vita che sconfigge per sempre la morte. Oggi dunque sta davanti a noi l’icona del cieco nato. Un uomo cieco dalla nascita. Un uomo che non ha mai visto, né vedrà mai. Immerso completamente nel buio. Il cieco nato è una metafora tragica dell’uomo, della condizione umana: buio e morte. “Forse che non erriamo in un nulla infinito? Non sentiamo il soffio del vuoto sul nostro volto? Un freddo più pungente? E’ come se scendesse la notte, notti sempre più rumorose?” (Nietzsche) La tragedia dell’uomo moderno è proprio il buio del nulla in cui si sente avvolto, il nichilismo.

Esso, dice il Papa Giovanni Paolo II, “riesce ad esercitare un suo fascino sui nostri contemporanei. I suoi seguaci teorizzano la ricerca come fine a se stessa senza speranza né possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità.

Nell’interpretazione nichilista, l’esistenza è solo un’opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l’effimero ha il primato.

L’esistenza è una notte buia, senza prospettive né alternative. Una prigione buia dove le cose perdono i loro contorni, il loro colore e sapore.

In che modo Gesù affronta questa situazione drammatica del buio, del nulla?

Gesù, dopo aver spalmato un po’ di fango sugli occhi del cieco nato, lo manda a lavarsi nella piscina di Siloe e Siloe vuol dire “Inviato”. E’ Gesù l’Inviato del Padre, è la Rivelazione del Padre, il dono del Padre.

Probabilmente il racconto allude anche al battesimo e dunque a Gesù stesso, inviato del Padre per la salvezza dei peccatori.

In Lui l’uomo riacquista la vista. In Lui e per Lui le cose ritrovano il loro significato, la loro consistenza, la loro armonia, per l’eternità. L’uomo non è più cieco. Dio si è fatto uomo in Gesù e Gesù, come Dio, è Verità e Vita, come uomo è la via che conduce alla Verità e alla Vita.

Non a caso il Nuovo Testamento, e in particolare gli scritti di Giovanni, sono pieni del verbo “vedere”

Questo vedere è stato talmente decisivo per il cieco nato che si è messo contro tutti per salvaguardare la Luce ritrovata.

La reazione dei vicini, dei farisei, di ieri e di oggi, è la resistenza a oltranza all’evidenza.

“Non è mica lui, è uno che gli assomiglia. E lui: “No, sono io”!

I farisei: “Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. I giudei: “Non è vero che era cieco”! I genitori. “Era cieco”!

I giudei: “Da’ gloria a Dio. Noi sappiamo che è un peccatore”.

E’ chiaro che si tratta di pregiudizi ostinati contro l’evidenza.

Questa posizione noi oggi la chiamiamo ideologica: l’idea, il pregiudizio, prima della realtà.

Il cieco nato fa un cammino esattamente contrario: parte da una posizione realista:

” Una cosa sola so: prima ero cieco e ora ci vedo”!

Questa posizione realista, questa certezza, lo rende addirittura “spavaldo”, quasi ironico: “Volete forse diventare anche voi suoi discepoli”?-dice ai farisei.

Ma è questo realismo che gli permette di scoprire gradualmente la verità, di camminare verso la pienezza della luce.

Durante le varie fasi dell’interrogatorio, infatti, egli passa da un iniziale “Non lo so” a chi gli domandava ” Dov’è questo tale”? a “E’ un profeta”, fino al riconoscimento finale davanti a Gesù: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” “E chi è Signore”? “Tu l’hai visto, Colui che parla con te è proprio Lui”! “Io credo Signore” e gli si prostrò innanzi.

Da notare che Gesù non rivela mai a nessuno la sua messianicità. Solo a un mendicante e a una peccatrice, la Samaritana.

Perché? Perché essi sono poveri di spirito, non hanno i pregiudizi ideologici dei farisei o degli intellettuali. Per loro l’esperienza vale più dell’ideologia.

Il cammino della fede esige questo dar credito all’esperienza, alla realtà.

E’ la forza dell’evidenza, la forza dell’esperienza.

Per questa “evidenza” il cieco nato ha perso tutto; è cacciato dalla sinagoga, dalla comunità religiosa e quindi, in quel contesto, anche civile. Perfino i genitori prendono le distanze da lui.

Ha perso tutto, ma ha trovato tutto, ha trovato la Luce, la luce della fede, ma è Gesù che lo ha ricercato e gli ha rivelato lo splendore della Verità.

 

Preghiamo

O Padre, che con il dono del tuo amore

ci riempi di ogni benedizione,

trasformaci in creature nuove,

per esser preparati alla Pasqua gloriosa del tuo Regno.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Martedì 20 marzo 2018

Vieni Spirito di sapienza,

insegnaci ogni cosa,

secondo la promessa fatta da Gesù ai suoi discepoli.

Rivelaci il mistero e guidaci in esso:

sii la nostra guida nel progetto di salvezza

e guidaci a Cristo,

Signore della storia,

nostro salvatore,

che consegnerà al Padre tutta la storia

alla fine dei tempi. Amen.

 

Dal libro del profeta Ezechiele (Ez 37,1-10)

 La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare accanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annuncia loro: “Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore”». Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro. Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza, figlio dell’uomo, e annuncia allo spirito: “Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”». Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.

 

Riflessione: Ho visto morire la morte

Durante l’esperienza terribile, tragica dell’esilio babilonese, gli ebrei, sfiduciati e pessimisti, solevano ripetere:” Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, siamo perduti”! (Ez 37,11)

Ma Dio risponde a questo dolore mostrando al profeta una grande visione: una pianura sterminata piena di ossa di morti:

“Potranno queste ossa rivivere”?

E’ questa la domanda cruciale. La morte è l’esperienza qualificante di tutta la vita, di tutta la condizione umana? Risolvere questo problema vuol dire risolvere tutto, non risolvere questo nodo, vuol dire non risolvere nulla.

Leone Tolstoi ha detto: “Che c’è di vero, se esiste la morte”?

Il problema è talmente scomodo e inquietante che c’è come un tacito accordo: non se ne deve parlare. Non è “igienico”! Non è educato! Si esorcizza, evitandolo finché si può, oppure stordendosi in mille modi o, ancor più ipocritamente, dicendo che “è naturale”: si nasce, si muore! E’ un processo del tutto normale! Questo, mi pare, è negare l’evidenza.

Tutto in noi si ribella di fronte alla prospettiva della morte.

Scrive Miguel De Unamuno nel suo “Diario intimo”: “Resterai con la mera coscienza di esistere finché non perderai anche questa e resterai solo, interamente solo…no, non resterai solo, perché sarai ridotto a niente. Ma non ti resterà neanche la coscienza del nulla”. (Diario intimo. Alianza Editorial, Madrid, 1981, p. 152)

Aveva ragione Leopardi allora che parlava di “immensa vanità del tutto”. Il Concilio Vaticano II° recepisce questo dramma:” Non solo si affligge l’uomo al pensiero dell’avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre”. Ma l’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente quando aborrisce  e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità, che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte”. (GS. n.18)

Ecco allora la domanda centrale. “Potranno queste ossa rivivere”? Potrà morire la morte?

La risposta è di Dio stesso che grida: “Spirito vieni dai quattro venti e soffia su questi morti perché rivivano!!!

La morte è morta! “Ho visto morire la morte”, canteremo il giorno di Pasqua.

“Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”!

Da notare che Gesù fa apertamente queste affermazioni nell’imminenza della passione e morte. Ora che sta per immolarsi sulla croce, ora che sta per morire, ora che ogni equivoco di messianismo politico è svanito per sempre, ora con chiarezza afferma di essere la Vita, di essere la Risurrezione.

Il dramma dell’esistenza umana ha trovato finalmente risposta.

E’ la morte del Figlio di Dio il segreto della Risurrezione e della vita.

Nessuno, né Maometto, né Budda, né altri, hanno avuto l’ardire di dire queste enormità.

Tutto l’annuncio cristiano si esaurisce qui: Cristo ha sconfitto la morte e ci ha dato la vita immortale. Lui è l’eterno “Io sono”. “Quando sarò elevato da terra allora saprete che “Io sono”! Il suo nome si identifica con quello di Jahwè.  Egli è Dio, Lui è l’Eterno e ci introduce nell’eterno. Tutto nella Liturgia parla di risurrezione e di vita immortale, perfino l’architettura fisica della nostra Cattedrale. Non per nulla sia  il battistero, sia il coro centrale del nostro Duomo hanno forma di ottagono e noi sappiamo bene che il numero otto è il simbolo della risurrezione perché nel giorno ottavo Cristo è risorto; la cupola, che sovrasta le nostre assemblee liturgiche, solenne,  parla del cielo che ci protegge e verso il quale camminiamo.

 

Preghiamo

Dio onnipotente,

che hai voluto affidare gli inizi della nostra redenzione

alla custodia premurosa di san Giuseppe,

per sua intercessione

concedi alla tua Chiesa di cooperare fedelmente

al compimento dell’opera di salvezza.

 

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Mercoledì 21 marzo 2018

Spirito santo,

vieni e illumina il nostro spirito,

riempilo con la tua luce divina.

Vieni a liberarci e a consolarci:

spezza ogni catena

e con gioia cammineremo liberi verso il Regno. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 11,25-27)

Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

 

Riflessione: Lo Spirito che dà la vita

E’ lo Spirito che fa rivivere le ossa inaridite, è lo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti ed è per mezzo dello Spirito che Dio darà la vita anche ai nostri corpi mortali.

E’ lo stesso Spirito che si librava sulle acque al tempo della creazione.

Questo Spirito feconda le acque del nostro battesimo e ci “ri-crea” per una vita senza fine in Cristo Gesù.

Per dimostrare che queste non sono parole, Dio ci manda i suoi santi che vivono la morte del corpo come porta aperta sulla vita immortale.

Un esempio, a questo proposito può essere proprio la fase finale della vita di Elisabetta della Trinità, una giovane monaca carmelitana di clausura morta a 26 anni. Ella, sentendo ormai prossima la fine, dice alla madre: “Mamma, quando la sorella verrà ad avvertirti che ho cessato di soffrire, tu devi cadere in ginocchio e dire: “Mio Dio, voi me l’avete data, mio Dio io ve la rendo. Sia benedetto il tuo santo nome”. La cosa impressionante è che la madre, che, a suo tempo, aveva fatto di tutto per ostacolare l’ingresso della figlia in Monastero, quando ebbe la notizia della morte di Elisabetta, eseguì fedelmente e puntualmente quello che la figlia le aveva suggerito.

Era qui, all’esperienza della vita più forte della morte che voleva condurci il cammino quaresimale.

Ma per arrivare qui occorre una forte esperienza del cuore.

“Non si conosce che col cuore”! (Saint-Exupery)

Nell’episodio di Lazzaro abbiamo proprio una forte esperienza del cuore, dove “cuore” non vuol dire sentimentalismo, ma la totalità dei fattori che costituiscono l’umano. In questo senso i protagonisti di questo episodio posseggono la superiore conoscenza del cuore.

Maria è quella che aveva unto con olio e asciugato con i propri capelli i piedi di Gesù. Le parole con cui le sorelle informano il Maestro della malattia del fratello (“Signore ecco il tuo amico è malato”) dicono l’intimità e l’intensità di un rapporto. L’evangelista nota esplicitamente quello che avevamo già capito: “Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro”.

Anche la risposta di Gesù è sulla stessa lunghezza d’onda: “Il nostro amico s’è addormentato….ma vado a svegliarlo”!

La stessa “resistenza” di Tommaso esprime la uguale intensità di rapporto: “Andiamo anche noi a morire con Lui”! Era dunque pericoloso tornare in Giudea, ma ciò non frena Gesù e neppure Tommaso.

“Il Maestro è qui e ti chiama”!- dice Marta a Maria. E’ il linguaggio essenziale dell’amore.

“Quando la vide piangere e piangere anche i giudei, (Gesù) si commosse profondamente, si turbò, scoppiò in pianto”.

Se vogliamo sperimentare la gioia della risurrezione, della vita immortale occorre conoscere col cuore, cioè, come dice S. Bonaventura, occorre interrogare “la Grazia, non la scienza, il desiderio, non l’intelletto; il sospiro della preghiera, non la brama del leggere, lo sposo, non il maestro, Dio, non l’uomo, la caligine, non la chiarezza, non la luce, ma il fuoco che infiamma tutto l’essere e lo inabissa in Dio con la sua soavissima unzione e con gli affetti più ardenti”. (“Itinerario della mente a Dio” cap. 7, 1.2.4.6; Opera omnia, 5, 312-313)

Il “cuore” è un fattore insostituibile dell’umano. Il “cuore” è quella dimensione ultima dell’uomo che abbraccia tutti i fattori che lo compongono, compreso quello ineliminabile del “Mistero”. Il “cuore” conosce allora infinitamente più della ragione. E’ ragionevole riconoscere che c’è nell’uomo questa dimensione del cuore che non è riducibile alla sola misura della ragione, che anzi è proprio questa dimensione totalizzante del cuore che costituisce il vertice della conoscenza e dell’esperienza umana.

Tolstoi diceva: “Che c’è di vero se esiste la morte”? Noi allora possiamo dire: “Che c’è di falso, se esiste la vita? Se Cristo è la vita, tutto è vero, tutto è eterno, tutto è salvo per sempre! Questa è la Pasqua.

 

Preghiamo

Risplenda la tua luce, Dio misericordioso,

sui tuoi figli purificati dalla penitenza;

tu che ci hai ispirato la volontà di servirti,

porta a compimento l’opera da te iniziata.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Giovedì 22 marzo 2018

Spirito della vita,

canta in noi, esulta in noi, acclama in noi!

In te è la fonte della vita.

Dona ai tuoi fedeli

che solo in te confidano i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,

dona morte santa,

dona gioia eterna.  Amen.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 26,36-42)

Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà».

 

Riflessione: Gesù tradito

Vediamo, dunque, di percorrere i tratti salienti di questa incredibile vicenda di amore e di dolore che è la Passione di Gesù.

Gli uomini della religione, i sommi sacerdoti e gli scribi, due giorni prima di Pasqua, ci dice Marco, invece di pensare alla grande opera di liberazione compiuta da Dio a favore del suo popolo, concepiscono disegni di odio e di morte, preoccupati solo del loro potere che credono in pericolo.

Gesù, intanto, a Betania riceve l’omaggio ammirato e affettuoso di una donna nello sconcerto dei benpensanti che si infuriano per un gesto che loro giudicano un enorme spreco. Sono gente che non conoscono le ragioni del cuore, che giudicano soltanto a partire dai loro calcoli meschini.

Giuda, che è uno di loro, decide di consegnare, cioè di tradire Gesù. Si approfitta della fiducia che il Maestro gli ha riservato per potere più facilmente colpire Colui che lo ha scelto, che lo ha chiamato, che gli ha dato credito.

Intanto Gesù chiede ai suoi apostoli di preparare la cena pasquale. Emerge qui la signoria di Gesù sugli eventi. Tutto  domina il Maestro, egli è il grande tessitore, il piano è completamente nelle sue mani. Colui che tra poco vedranno inerme e vittima  impotente della prepotenza, ora è veramente Signore, prevede, previene, ordina, dispone. La cena si svolge in un clima di drammatica tristezza e al tempo stesso di intima dolcezza. Egli denuncia con comprensibile strazio la malvagità del tradimento che si sta consumando, ma al tempo stesso realizza il dono più grande che segnerà tutta la storia futura: l’Eucaristia. “Questo è il mio corpo”! “Questo è il mio sangue”!

Realizza così nel segno sacramentale quella totalità, quella radicalità di donazione che entro poche ore realizzerà fisicamente sull’altare della croce.

Mentre si recano verso il monte degli ulivi Gesù è terribilmente solo, anche se non fisicamente. Pietro rinnova con insistenza la sua superficiale spavalderia e Gesù gli preannuncia il suo triplice rinnegamento.

Inoltratosi nel giardino del Getsemani Gesù comincia a sentire “paura e angoscia”.

E’ preso da una tristezza mortale fino al punto di prostrarsi a terra e di chiedere a Dio, chiamandolo col nome dell’intimità filiale “Abba”, Babbo, di allontanargli quel calice, di risparmiargli cioè l’imminente passione. Ma la preghiera non si conclude senza la proclamazione della sua piena disponibilità alla volontà del Padre.

Poco dopo la scena cambia. Arrivano uomini armati di spade e bastoni e nel buio della notte si compie il tradimento, con un bacio!

 

Preghiamo

Oggi non indurite il vostro cuore,

ma ascoltate la voce del Signore.

Il Signore ci doni la sapienza del cuore

e ci custodisca nel suo amore. Amen.

 

Venerdì 23 marzo 2018

Spirito santo,

tu che sei sorgente della pace,

fa’ di noi gli artefici della pace.

Donaci cuori concilianti e generosi,

fa’ che sempre cerchiamo ciò che unisce e che riconcilia,

fa’ che sopra tutto cerchiamo la carità

che tutto perdona,

tutto crede,

tutto spera

e che non avrà mai fine. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 26, 63-66)

Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico:
d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!».

 

Riflessione: La morte di Gesù apre alla Vita senza fine

Gesù, ormai arrestato come un malfattore, viene condotto davanti al sommo sacerdote e lì avviene qualcosa di grande, di solenne, di grave, finora inimmaginabile. Al sommo sacerdote che gli domanda: ”Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto”? Gesù risponde con inaudita chiarezza:” Io lo sono”! Lui che aveva sempre evitato questa affermazione per non favorire un’interpretazione politica del suo messianismo, ora che non c’è più pericolo di fraintendimenti, ora che è apparentemente sconfitto, perdente, ora può finalmente dichiarare pubblicamente la sua divina figliolanza, la sua uguaglianza con Dio: “Io sono”! Ora può attribuire a se stesso senza esitazioni, pur sapendo che sarà accusato di bestemmia, le parole del profeta Daniele: ”Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo”.

Così inizia la derisione, il disprezzo, la crudeltà degli astanti contro di Lui.

In questo contesto si consuma anche il triplice rinnegamento di Pietro che dichiara di non conoscere nemmeno quell’uomo. Le lacrime, sia pure tardive, lo restituiscono all’amore di un tempo.

Al mattino dopo appaiono due nuovi protagonisti, Pilato e Barabba.

Il primo vigliacco e crudele, il secondo violento e omicida.

Il panorama è desolante. Non si sa chi condannare prima se il vigliacco Pilato, ostaggio del suo attaccamento al potere oltre che della folla, o la folla stessa che, senza mezze misure, chiede subito addirittura non solo la condanna, non solo la condanna a morte, ma addirittura la crocifissione, di tutti i supplizi il più crudele, il più doloroso e il più infamante, o gli stessi soldati che, per uccidere la noia in quella lontana provincia dell’impero, sentono il bisogno di infierire crudelmente contro quell’Imputato innocente. In questo modo, comunque il Re dei re e Signore dei signori viene consegnato al mistero del male e se ne fa carico per la salvezza di tutti.

A questo punto troviamo nel vangelo di Marco una particolarità che negli altri non c’è ed è quella di Simone di Cirene che viene costretto a portare la croce di Gesù  e viene identificato come “padre di Alessandro e Rufo”. E’ una nota importante perché vuol dire che ai lettori cui era destinato questo vangelo, Alessandro e Rufo erano due  personaggi noti, forse membri della comunità cristiana di Roma.

Arrivati al Calvario il quadro diventa drammatico, anzi tragico. Il male, la crudeltà, l’ingiustizia, la prepotenza sembrano non trovare più alcun ostacolo. Perfino Dio sembra ritirarsi in un silenzio drammatico e apparentemente ingiusto. Il male sembra regnare sovrano. Gesù è ormai veramente solo. Anche il Padre sembra averlo abbandonato. Le ultime parole di Gesù nel vangelo di Marco hanno proprio questo sapore drammatico: ”Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”? Poco dopo  Gesù “dando un forte grido spirò”.

Il velo del tempio che si squarcia è il segno che quella morte ha rotto la barriera che separava Dio e l’uomo, ormai il passaggio è aperto, tanto è vero che il centurione pagano riconosce: ”Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Quello che Israele non era riuscito a riconoscere con tutta la sua religione, lo riconosce un pagano, un gentile.

E’ il segno che ormai Gesù è riconoscibile, come figlio di Dio, da tutto il mondo. E’ l’inizio di un riconoscimento universale.

Il racconto si conclude con due riferimenti interessanti e commoventi. Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del Sinedrio, che evidentemente non aveva condiviso la decisione del sommo sacerdote, con coraggio affronta Pilato per chiedergli il corpo del Signore, anche lui, infatti, aspettava il regno di Dio. Non tutto era perduto.

Infine “Maria di Magdala e Maria di Joses stavano ad osservare dove veniva deposto”. E’ una nota che dice l’amore con cui queste due donne seguono la conclusione della vicenda umana di Gesù, ma è anche un preludio degli avvenimenti pasquali che si verificheranno da qui a poco tempo.

 

Preghiamo

Abbi pietà di me, Signore,

perché sono in angustia;

strappami dalla mano dei miei nemici

e salvami dai miei persecutori:

Signore, che io non resti confuso.

Donami la sapienza del cuore

e custodiscimi nel tuo amore. Amen.

 

Sabato 24 Marzo 2018

Spirito santo,

a te affidiamo questo nostro cammino quaresimale

che sta per volgere al termine:

continua a guidarci

e la settimana che si apre

ci trovi pronti

a fare memoria

a celebrare

a vivere

il mistero della Pasqua di Cristo,

salvezza per tutta l’umanità. Amen.

 

Dal libro del Profeta Isaia (Is 53, 7-9)

Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per la colpa del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.

 

Riflessione: Gesù umiliato e glorioso

Già il quarto carme del Servo di Jahwè che descrive le sofferenze terribili a cui viene sottoposto, inizia con una affermazione sorprendente che mal si concilia con la descrizione dettagliata dei suoi tormenti.” Il mio servo avrà successo, sarà innalzato, onorato grandemente”. Questa è l’affermazione inaudita e paradossale che apre la descrizione dell’uomo dei dolori e delle sue umiliazioni. Quale successo, quale onore, quale innalzamento? Come è possibile attribuire queste categorie a una figura così profondamente segnata dalla sofferenza e dal disprezzo? Ma chi è, in definitiva, questo Servo di Jahwè?

Il profeta si riferisce in questo canto immediatamente al popolo di Israele, ma alla luce della rivelazione piena e definitiva del Nuovo Testamento, queste parole descrivono molto efficacemente e puntualmente la figura del nuovo, del vero servo di Jahwè, Cristo Gesù. In questo brano, dunque, il profeta ha davanti ai suoi occhi la tragedia dell’esilio babilonese, ma egli sa anche che questa stessa tragedia non è l’ultima parola, la conclusione del suo destino, ma solo una tappa attraverso la quale Israele sperimenterà la sua vittoria, la sua rinascita, il suo riscatto.

Paradossalmente dunque l’ora dell’umiliazione diventa l’ora del successo, l’ora del dolore l’ora della gioia, l’ora della sconfitta l’ora della vittoria. Questo già per quanto riguarda la vicenda storica di Israele. Ma questo paradosso raggiunge il suo culmine  nell’ora del Calvario. Non per nulla Giovanni parla dell’ora della passione di Gesù come dell’ora della gloria. E’ la croce il successo, l’innalzamento, l’onore e l’esaltazione di Gesù e nostra.

Veramente, come dice il profeta, si meraviglieranno di lui, vedranno un fatto mai ad essi raccontato, che cioè la tenebre generano la luce, che il dolore produce la gioia che la morte dona la vita.

Chi avrebbe creduto alla nostra Rivelazione? si domanda lo stesso Isaia. Come è possibile credere a queste apparenti assurdità? Come è possibile credere, dare fiducia  a un Condannato, a un Giustiziato, a uno Sconfitto che pretende di essere uguale a Dio? E’ lo sconcerto sfociato in derisione sarcastica e amara che deve aver preso i   capi dei giudei, da una parte, e i soldati romani, dall’altra, quando lo hanno scambiato per un esaltato che si attribuiva prerogative divine e sembrava alludere a un suo improbabile regno. Tale derisione ha spinto giudei e romani a un tale disprezzo che ha raggiunto il culmine nel sadismo crudele della corona di spine.

Certo dobbiamo riconoscere che se il cristianesimo fosse stato inventato avrebbe dovuto essere inventato meglio. Chi avrebbe potuto mettere su, una costruzione così  complicata per cui Dio si nasconde in un uomo e si annulla fino a tal punto da diventare lo zimbello della ciurmaglia scatenata? Questo sarebbe il vero Dio, la speranza del mondo, la salvezza dell’umanità, il rimedio di ogni dolore? Lo “scandalo” è proprio l’incarnazione del Figlio di Dio.

 

Preghiamo

Visita, Signore, il tuo popolo,

proteggilo con il tuo amore premuroso,

perché custodisca con il tuo aiuto

i doni che ha ricevuto dalla tua misericordia.

Concedici di essere nel mondo

testimoni  del tuo amore e della tua opera di salvezza.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.