Giovedì 26/11/15 – Il Padre misericordioso

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Giovedì 26 novembre
IL PADRE MISERICORDIOSO
La gioia del perdono dato e ricevuto

 

 

STATIO:
IN SILENZIO,
METTIAMOCI ALLA PRESENZA DEL SIGNORE

Invochiamo lo Spirito Santo            (Paolo VI, † 1963)
Vieni, o Spirito santo.
Tu sei il Consolatore,
il Fuoco dell’anima,
la viva sorgente interiore.
Tu sei l’Amore,
divina fonte di ogni amore.

Tu sei la Vita della nostra vita,
tu sei il Santificatore.
Tu sei la dolcezza e insieme
la fortezza della vera vita cristiana.
Tu sei il dolce Ospite dell’anima nostra.

Tu sei l’Amico,
a te portiamo attenzione interiore,
silenzio reverenziale, ascolto docile,
devozione affettuosa, amore forte.

Vieni, Spirito Santo
rinnova la faccia della terra.  Amen.

LECTIO: PARLA, SIGNORE,
IL TUO SERVO TI ASCOLTA!

La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12)

Apri il mio cuore, Signore, alla tua parola di salvezza!

DAL VANGELO SECONDO LUCA (15,11-32)
11Disse ancora Gesù: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

BREVE COMMENTO AL TESTO
Ieri abbiamo visto le prime due parabole della misericordia del capitolo 15 del vangelo di Luca. Oggi leggiamo la terza, il vertice di questo svelamento dell’amore misericordioso di Dio per ogni uomo. La parabola è celebre ed è conosciuta impropriamente come parabola del figliol prodigo; sarebbe infatti più appropriato chiamarla parabola del padre misericordioso, dal momento che il vero protagonista è proprio lui, il padre, e solo lui prodigo in amore.
Le tre parabole sono poste al centro del vangelo di Luca e costituiscono il punto centrale del suo messaggio: la bella notizia della misericordia, dell’amore infinito e gratuito di Dio per ciascuno dei suoi figli. Tuttavia, le parole di Gesù provocano scandalo tra gli scribi e i farisei, tra coloro che si ritengono giusti, ma che in realtà non sanno vedere in Gesù il volto misericordioso di Dio che accoglie i peccatori, mangia e fa festa con loro. Gesù parla a tutti, giusti e peccatori, senza distinzioni. Mette in guardia anche noi, ammonendoci quando ci crediamo giusti. Dio non ragiona a modo nostro e accade che coloro che si credono ‘vicini’ siano invece ‘lontani’ dal cuore del vangelo e dalla misericordia di Dio.

Una storia di famiglia
Gesù ci racconta la storia di una famiglia, di una casa, la quotidianità di ciò che accade nelle famiglie di ieri e di oggi. Il momento critico che sta per accadere mette in luce quello che c’è nel cuore di ciascuno dei protagonisti: il padre, il figlio maggiore e quello minore.
La prima parte del racconto descrive in modo rapido ed essenziale il distacco e l’allontanamento del figlio minore dalla casa paterna. La pretesa del figlio di avere subito “la parte di eredità che mi spetta” (15,4) rivela la fretta che questo figlio porta in sé di lasciare la casa di famiglia per una propria indipendenza. Accadeva anche a quel tempo che tanti emigravano dalla Palestina, afflitta da carestie e situazioni economiche difficili, per trovare fortuna in altre città dell’Asia Minore o della Grecia; in tal caso, il padre  dava al figlio una parte del patrimonio in beni liquidi che potevano essere facilmente investiti.
Dallo svolgimento della storia, si capisce però che dietro la richiesta del figlio non c’è un progetto di investimento; c’è piuttosto il desiderio di tagliare in modo definitivo ogni legame familiare, soprattutto con il padre, percepito come padrone che pretende servizi e obbedienza, di cui è meglio liberarsi. Nelle parole del figlio non c’è alcun segno di gratitudine per colui che lo ha generato alla vita, non un segno di riconoscenza per quanto ricevuto. Vuole solo il suo denaro e lo pretende subito, come se il padre fosse già morto per lui.
Il racconto prosegue senza contrasti. Il padre esaudisce la richiesta del figlio senza interferire. Il figlio quindi è libero di andarsene con la sua parte di eredità, per intraprendere nuove strade. Non ci sono neppure contrasti da parte del fratello maggiore che avrebbe potuto ostacolare la divisione del patrimonio; forse faceva comodo anche a lui liberarsi di quel fratello scomodo e restare così l’unico erede. Il padre, stranamente, non proferisce parola, non fa raccomandazioni, non si lamenta. Il suo cuore è spezzato dal dolore. Fa quello che il figlio pretende, lo lascia andare via, ma non chiude la porta di casa dietro di lui.

Una porta sempre aperta
Questo è l’atteggiamento di Dio verso di noi. Rispetta la nostra libertà come valore invalicabile, ma ‘non chiude la sua porta’ dietro di noi e soffre per noi e con noi se ci allontaniamo. Il figlio sembra insensibile a tutto questo. Ha ottenuto quello che voleva e se ne va non lasciando spazio ai sentimenti, senza preoccuparsi di aver spezzato rapporti vitali con la casa paterna e aver mercificato anche le relazioni più intime. Un panorama triste, ma anche oggi ampiamente rappresentato.
Il prosieguo del racconto ci mostra che i progetti che animano il figlio non sono certo nobili, ma orientati semplicemente ad una vita oziosa, degradata, ridotta a cose e donne da sfruttare, lontano dalla casa paterna, in un paese straniero. I soldi però non sono eterni,  un giorno finiscono e con essi anche la vita facile a cui il figlio si era abbandonato.

Tornare a casa da figlio, non da servo
Lontano da casa, ormai ridotto alla miseria, incapace di far fronte alla carestia che ha colpito il paese che lo ospita, per sopravvivere alla fame si riduce a fare il guardiano di porci presso un ricco proprietario della regione. Rifiutato il padre, impoverito l’orizzonte della vita, il suo cammino scende sempre più in una degradazione totale. Si contamina, lui ebreo, con il cibo strappato ai porci, animali impuri per eccellenza per gli ebrei. La rottura di questo figlio adesso non è solo con il padre, ma anche con la tradizione religiosa del suo popolo.
Da questa condizione di massimo degrado, inizia il suo ripensamento e il cammino di ritorno verso la casa paterna. Rimpiange i salariati che lavorano per il padre: loro hanno cibo in abbondanza, mentre lui sta morendo di fame. Allora decide di riprendere la via del ritorno per chiedere al padre di essere trattato come uno dei suoi salariati. Non è ancora la presa di coscienza del suo peccato, ma la considerazione che da sé non ne verrà fuori e che nella casa paterna sicuramente potrà trovare una condizione migliore e sfuggire così alla fame che lo sta conducendo alla morte. Non pretende di essere accolto come figlio, gli basta occupare un posto da servo tra i lavoratori della casa paterna. È incapace di sentirsi figlio; meglio essere servo e avere il pane assicurato. Il padre rimane ai suoi occhi come il padrone a cui ubbidire come fanno i suoi servitori. Spinto da questo pensiero si mette in cammino verso la casa paterna, mormorando tra sé una frase di scuse e di richiesta di perdono per quello che ha fatto per prevenire la possibile reazione negativa del padre. Nonostante sia suo figlio, ancora non lo conosce da figlio.

Un abbraccio colmo di gioia
A questo punto la parabola si focalizza sulla figura del padre con uno scatto di discontinuità per raggiungere il suo messaggio sorprendente. Il padre, che non aveva chiuso la porta dietro al figlio al momento della sua partenza, ma che ogni giorno continuava a tornare sulla soglia di quella porta per attendere il ritorno del figlio lontano, finalmente un giorno, appena riconosciuta la sua sagoma profilarsi in lontananza, “ebbe compassione” per lui, “gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Non lascia che il figlio si inginocchi ai suoi piedi, come fanno i servi, ma abbracciandolo e baciandolo lo tratta da pari; non lascia neppure che il figlio termini la richiesta di perdono che ha preparato, ma chiama i servi ordinando che il figlio sia rivestito della veste più bella, gli siano messi nuovi calzari ai piedi e gli sia donato l’anello di famiglia, simbolo di responsabilità e di potere. Il padre, al contrario di quanto il figlio immaginava, non accoglie il figlio rinfacciandogli il peccato, ma facendogli dono della sua immensa misericordia e ridonandogli così pienamente la dignità di figlio, come se la sua paternità lo rigenerasse di nuovo. E, la gioia del padre non può contenersi, bisogna fare festa grande, mangiando di nuovo insieme nella casa di famiglia. I suoi gesti rivelano finalmente al figlio il vero volto del padre.
Forse, paradossalmente, senza quella colpa, il figlio non avrebbe mai conosciuto pienamente il cuore di suo padre e avrebbe continuato a pensarlo solo come un limite alla sua libertà. Ora sa che la passione del padre è capace di far nascere la vita là dove abitava la morte.

La fatica di comprendere la gratuità dell’amore
Sullo sfondo della festa del figlio ritrovato, si colloca l’arrivo a casa del figlio maggiore che torna dai campi dove ha lavorato per conto del padre. Udendo la musica e le danze, chiede a uno dei servi cosa stia succedendo. Saputo che il figlio minore è tornato e che suo padre lo ha accolto, perdonato e ha perfino fatto ammazzare il vitello grasso per fare festa, monta su tutte le furie e rifiuta di entrare per partecipare alla festa. Anche in questo caso, è il padre a prendere l’iniziativa. Esce ancora una volta sulla porta di casa per convincere il figlio riottoso ad entrare e prendere parte alla gioia per quel fratello perduto e ora ritrovato. Ascolta pazientemente lo sfogo irato del figlio che parla come fosse uno dell’azienda: “ho prodotto tanto, avrei diritto a tanto e invece solo ingratitudine”. Non  sente giustamente retribuito il suo lavoro e la sua dedizione. Il furore lo acceca e gli impedisce di vedere con positività il ritorno del fratello e il perdono che il padre gli ha riservato. Anche lui vede il padre più come padrone che come padre. Anche lui, come l’altro, ha impoverito l’orizzonte della vita, riducendolo alle cose, tutt’al più ad un gruppo di amici con cui festeggiare mangiando un capretto, ma senza libertà e senza gioia. Fa valere il fatto che è rimasto sempre dentro casa, che ha servito senza pretendere nulla, che ha sempre ubbidito ad ogni comando. Una figura più vicina a quella del servo, che non a quella di un figlio che vive liberamente nella casa paterna. È ben lontano dal comprendere l’amore che deborda dal cuore del padre. Non si sente né amato né stimato, resta chiuso nel suo risentimento, vivendo il perdono del padre al fratello come ingiustizia nei suoi confronti. Non essendo capace di riconoscere l’amore del padre, non è neppure in grado di riconoscere il legame con il fratello, che nelle sue parole è ridotto a “questo tuo figlio”.

Tu sei mio figlio
Grande è la misericordia del padre che fa di tutto per comprendere la sua situazione di questo figlio. Pur non essendo mai chiamato “padre” si rivolge a lui chiamandolo “figlio”. Non si scoraggia di fronte alla rabbia e alle accuse ingiuste, ma ripete quello che ha già detto al figlio minore: “Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Allora, l’unica reazione spontanea e giusta è la gioia piena celebrata nella festa. Il padre manifesta così anche al figlio maggiore il suo vero volto, un volto d’amore, che guarisce e salva chi è capace di ritornare e di lasciarsi perdonare. Un amore che supera abbondantemente e volutamente trasgredisce le regole umane della fredda retribuzione.
Il padre fa di tutto per smuoverlo, ma la parabola non ci dice se sia riuscito a convincerlo della bellezza di quel banchetto, dove splende la grazia del perdono e della vita ritrovata.

Venite alla festa
Gesù non ci propone un finale della parabola; invita ciascuno di noi a immaginarlo. Gesù si ferma alla soglia della nostra libertà. Lascia a noi la decisione se entrare alla festa o restare fuori non solo dalla gioia della festa, ma anche dalla relazione di fraternità. Entrare significa scoprire lo stupore della grazia!
Luca pone al centro del suo vangelo, la bella notizia della misericordia di Dio. Che bella notizia sarebbe se, con le sue parole e il suo comportamento, Gesù non scuotesse le nostre abitudini e i nostri pregiudizi? Con questa parabola Gesù ci invita ad una riflessione personale sull’amore di Dio. Siamo forse anche noi legati anche noi come gli scribi e i farisei ad una logica della giusta retribuzione?
Noi che, come il figlio maggiore, siamo sempre rimasti nella casa del padre, accettiamo questo volto del padre che fa festa per il figlio ritrovato, senza pretendere prima una reale condanna del peccato commesso?
Accettiamo che il cuore di Dio sia in festa per ogni peccatore che ritorna? Accettiamo di entrare alla festa per il fratello? “Venite alla festa”: questo l’invito di Gesù!

DURANTE LA GIORNATA rileggiamo il testo e lasciamolo risuonare nel nostro cuore. Cerchiamo di coglierne la profondità e chiediamo al Signore di modellare sempre più la nostra vita a immagine della sua.

MEDITATIO:
LA PAROLA RISUONI NEI NOSTRI CUORI

LEGGIAMO e rileggiamo la Scrittura
perché la Parola risuoni nel nostro cuore.
Facciamo silenzio perché possiamo ascoltare
quanto il Signore vorrà dire a ciascuno di noi.

ASCOLTIAMO LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Nella Liturgia di oggi si legge il capitolo 15 del Vangelo di Luca, che contiene le tre parabole della misericordia: quella della pecora smarrita, quella della moneta perduta, e poi la più lunga di tutte le parabole, tipica di san Luca, quella del padre e dei due figli, il figlio «prodigo» e il figlio, che si crede «giusto», che si crede santo. Tutte e tre queste parabole parlano della gioia di Dio. Dio è gioioso. Interessante questo: Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! E’ la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è «buonismo»! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal «cancro» che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio! Gesù è tutto misericordia, Gesù è tutto amore: è Dio fatto uomo. Ognuno di noi, ognuno di noi, è quella pecora smarrita, quella moneta perduta; ognuno di noi è quel figlio che ha sciupato la propria libertà seguendo idoli falsi, miraggi di felicità, e ha perso tutto. Ma Dio non ci dimentica, il Padre non ci abbandona mai. È un padre paziente, ci aspetta sempre! Rispetta la nostra libertà, ma rimane sempre fedele. E quando ritorniamo a Lui, ci accoglie come figli, nella sua casa, perché non smette mai, neppure per un momento, di aspettarci, con amore. E il suo cuore è in festa per ogni figlio che ritorna. È in festa perché è gioia. Dio ha questa gioia, quando uno di noi peccatore va da Lui e chiede il suo perdono. Il pericolo qual è? E’ che noi presumiamo di essere giusti, e giudichiamo gli altri. Giudichiamo anche Dio, perché pensiamo che dovrebbe castigare i peccatori, condannarli a morte, invece di perdonare. Allora sì che rischiamo di rimanere fuori dalla casa del Padre! Come quel fratello maggiore della parabola, che invece di essere contento perché suo fratello è tornato, si arrabbia con il padre che lo ha accolto e fa festa. Se nel nostro cuore non c’è la misericordia, la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio, anche se osserviamo tutti i precetti, perché è l’amore che salva, non la sola pratica dei precetti. È l’amore per Dio e per il prossimo che dà compimento a tutti i comandamenti. E questo è l’amore di Dio, la sua gioia: perdonare. Ci aspetta sempre! Forse qualcuno nel suo cuore ha qualcosa di pesante: «Ma, ho fatto questo, ho fatto quello …». Lui ti aspetta! Lui è padre: sempre ci aspetta! Se noi viviamo secondo la legge «occhio per occhio, dente per dente», mai usciamo dalla spirale del male. Il Maligno è furbo, e ci illude che con la nostra giustizia umana possiamo salvarci e salvare il mondo. In realtà, solo la giustizia di Dio ci può salvare! E la giustizia di Dio si è rivelata nella Croce: la Croce è il giudizio di Dio su tutti noi e su questo mondo. Ma come ci giudica Dio? Dando la vita per noi! Ecco l’atto supremo di giustizia che ha sconfitto una volta per tutte il Principe di questo mondo; e questo atto supremo di giustizia è proprio anche l’atto supremo di misericordia. Gesù ci chiama tutti a seguire questa strada: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Io vi chiedo una cosa, adesso. In silenzio, tutti, pensiamo… ognuno pensi ad una persona con la quale non stiamo bene, con la quale ci siamo arrabbiati, alla quale non vogliamo bene. Pensiamo a quella persona e in silenzio, in questo momento, preghiamo per questa persona e diventiamo misericordiosi con questa persona. [silenzio di preghiera]. Invochiamo ora l’intercessione di Maria, Madre della Misericordia.           (Angelus 15.09.2013)

Preghiamo con l’Inno del Giubileo:
Misericordes sicut Pater! [cfr. Lc 6,36]

Chiediamo allo Spirito i sette santi doni
in aeternum misericordia eius
fonte di ogni bene, dolcissimo sollievo
in aeternum misericordia eius
da lui confortati, offriamo conforto
in aeternum misericordia eius
l’amore spera e tutto sopporta
in aeternum misericordia eius

ORATIO:
A TE, SIGNORE, SALE LA MIA PREGHIERA!

Preghiamo con la preghiera del Giubileo della misericordia
Signore Gesù Cristo,
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste,
e ci hai detto che chi vede te vede Lui.
Mostraci il tuo volto e saremo salvi.
Il tuo sguardo pieno di amore
liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro;
l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura;
fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito.
Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio!

Tu sei il volto visibile del Padre invisibile,
del Dio che manifesta la sua onnipotenza
soprattutto con il perdono e la misericordia:
fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di te,
suo Signore, risorto e nella gloria.
Hai voluto che i tuoi ministri
fossero anch’essi rivestiti di debolezza
per sentire giusta compassione
per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore:
fa’ che chiunque si accosti a uno di loro
si senta atteso, amato e perdonato da Dio.

Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione
perché il Giubileo della Misericordia
sia un anno di grazia del Signore
e la tua Chiesa con rinnovato entusiasmo
possa portare ai poveri il lieto messaggio
proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà
e ai ciechi restituire la vista.

Lo chiediamo per intercessione di Maria, Madre della Misericordia
a te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli. Amen

CONTEMPLATIO:
DAMMI OCCHI NUOVI, SIGNORE,
PER CONTEMPLARE LE TUE MERAVIGLIE!

Chiediamo con umiltà al Signore un cuore puro,
capace di vedere tutto e tutti
con gli occhi buoni di Dio che è buono.

Ti loderò, Signore, mio Dio, con tutto il cuore
e darò gloria al tuo nome per sempre,
perché grande con me è la tua misericordia:
hai liberato la mia vita!                      Sl 86(85),12-13

ACTIO:
SIGNORE, COSA VUOI CHE IO FACCIA?

Abbiamo ascoltato, meditato, pregato.
La Parola ci chiede ora di essere vissuta
nella concretezza di tutti i giorni, a cominciare da OGGI.

La mia parte è il Signore:          Sl 119(118),57.59-60
ho deciso di osservare le tue parole.
Ho esaminato le mie vie,
ho rivolto i miei piedi verso i tuoi insegnamenti.
Mi affretto e non voglio tardare
a osservare i tuoi comandi.

Per quanto tempo dirò ancora:  domani, domani?
Perché non ora?  (Agostino, † 430)