Giovedì 30 novembre – Non temere, soltanto abbi fede

M. Chagall, Ebreo in preghiera

M. Chagall, Ebreo in preghiera

Nella settimana degli esercizi,
decidiamo di metterci in cammino alla luce della Parola del Signore. Ogni giorno preghiamo:

AL MATTINO

Custodiscimi in questo giorno, Signore
Signore, resta con me in questo giorno e anima le mie azioni, le mie parole e i miei pensieri. Custodisci i miei piedi perché non passeggino oziosi, ma mi portino incontro alle necessità degli altri. Custodisci le mie mani perché non si allunghino per fare il male ma sempre per abbracciare e aiutare.
Custodisci la mia bocca perché non dica cose false e vane e non parli male del prossimo, ma sempre sia pronta a incoraggiare tutti e benedire te, Signore della vita.
Custodisci il mio udito perché non perda tempo ad ascoltare parole vuote e falsità, ma sia sempre pronto ad accogliere il tuo misterioso messaggio per compiere, anche oggi, la tua volontà.

PRIMA DEI PASTI
Da’, o Signore, la tua santa benedizione
a noi e al cibo che stiamo per prendere.
Insegnaci a condividere
e fa’ che siamo sempre fedeli al tuo servizio.

ALLA SERA

Proteggimi, Signore
Ti prego, Signore, proteggimi in questa notte.
Tu sei per me il vero riposo: concedimi di dormire in pace.
Veglia su di me, allontana ogni minaccia
e guidami nelle tue vie.
Signore, tu sei il mio custode,
resta con me, sempre. Amen.

Sub tuum praesidium
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,
Santa Madre di Dio:
non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova,
e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.


NON TEMERE,
SOLTANTO ABBI FEDE

Gesù incontra Giairo e l’emorroissa

♦ STATIO:
IN SILENZIO, METTIAMOCI ALLA PRESENZA DEL SIGNORE

Invochiamo lo Spirito Santo     (Bernardo, 1153)
O Spirito Santo, anima dell’anima mia, in te solo posso esclamare: Abbà, Padre. Sei tu, o Spirito di Dio, che mi rendi capace di chiedere e mi suggerisci che cosa chiedere. O Spirito d’amore, suscita in me il desiderio di camminare con Dio: solo tu lo puoi suscitare. O Spirito di santità, tu scruti le profondità dell’anima nella quale abiti, e non sopporti in lei neppure le minime imperfezioni: bruciale in me, tutte, con il fuoco del tuo amore. O Spirito dolce e soave, orienta sempre più la mia volontà verso la tua, perché la possa conoscere chiaramente, amare ardentemente e compiere efficacemente. Amen.

♦LECTIO:
PARLA, SIGNORE, IL TUO SERVO TI AS COLTA!

Facciamo silenzio,
prima di ascoltare la Parola,
perché i nostri pensieri sono già rivolti verso la Parola;
facciamo silenzio,
dopo l’ascolto della Parola,
perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi.
Facciamo silenzio la mattina presto,
perché Dio deve avere la prima Parola,
e facciamo silenzio prima di coricarci,
perché l’ultima Parola appartiene a Dio.
Facciamo silenzio solo per amore della Parola.
(D. Bonhoeffer, † 1945)

Dal VANGELO SECONDO MARCO (5,21-43)

21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

PER COMPRENDERE IL TESTO
Incontriamo oggi due personaggi, un uomo e una donna, diversi tra loro, entrambi però raggiunti dall’amore grande e delicato di Gesù, che guarisce, salva e rigenera a vita nuova.
I due personaggi sono presentati in due scene che Marco interseca tra loro (5,21-24.35-43; 5,25-34).

Giairo, una fede salda che la prova fortifica
Il primo è una persona probabilmente conosciuta che viene chiamata per nome (Giairo), un capo della sinagoga, che ha un certo prestigio religioso e sociale.
Giairo ha un programma che propone a Gesù, supplicandolo di guarire sua figlia (vieni/imponile le mani/salvala perché viva: 5,23). Gesù vede la profondità della sua fede e si appresta a esaudirlo, anche se in modo diverso da quanto Giairo certamente immaginava.
Lungo l’itinerario si frappongono alcuni ostacoli che rendono più tortuosa l’attuazione di questo programma. Giairo segue Gesù e al suo fianco impara a superare questi ostacoli, sorretto dalla fede; potrà alla fine vedere il compimento del suo desiderio (5,40-43). Da subito manifesta una grande fede nell’opera di Gesù. Pubblicamente davanti alla folla non esita a supplicarlo con insistenza e addirittura si getta ai suoi piedi.
Dal contesto si intuisce che è una persona economicamente benestante: ha una casa con più stanze; può permettersi di pagare qualcuno che venga a piangere il lutto (5,38); appartiene, quindi, a una condizione sociale privilegiata. È però posto nella condizione di massima sofferenza e di percezione del proprio limite di fronte alla prospettiva della probabile morte della figlia e al dolore che lo attanaglia. Si trova impotente, come tutti gli esseri umani di fronte al dolore, alla malattia, alla morte; la sua condizione privilegiata non gli serve a nulla.
Giairo ha le caratteristiche che spesso nel vangelo sono proprie di coloro che entravano in contrasto con Gesù (ricchi, farisei, capi del popolo…). Tuttavia va incontro a Gesù con tutto il suo carico umano di sofferenza, senza vergogna. Si riconosce non autosufficiente: sperimenta che ha bisogno di aiuto, ha bisogno degli altri e soprattutto ha bisogno di Gesù. Viene da Gesù con il suo carico di sofferenza, di bisogno, portando in cuor suo un desiderio che appare umanamente assurdo.
Marco ci racconta che Giairo vede Gesù. Qui il verbo vedere è usato in senso profondo: non è solo il vedere esteriore degli gli occhi; Giairo intuisce che Gesù è portatore di un mistero, di una identità nascosta; lo riconosce come salvatore e strumento della potenza di vita di Dio. Capo della sinagoga, non si vergogna di cadere ai piedi di Gesù, manifestando la sua condizione di bisogno e impotenza di fronte alla malattia mortale della figlia e al dolore che ne segue.  La sua bambina sta morendo: il dolore è talmente grande che non si vergogna di supplicare insistentemente Gesù perché la guarisca.
Gesù va con lui. Non dice niente, non promette niente. Giairo si fida. Non sa cosa farà Gesù, se farà qualcosa per sua figlia. Si incammina dietro Gesù. Avrà certo avuto fretta. Avrebbe voluto correre con Gesù verso la sua casa.

La donna dalla fede silenziosa e potente
Ma Gesù si ferma e fa una strana domanda, perdendo tempo prezioso. La fede impaziente di Giairo è messa a dura prova dal Maestro che spreca il poco tempo rimasto per conoscere una donna, una donna di grande fede che dall’incontro con Gesù è certa di ricevere la guarigione che attende da anni. E se Gesù non avesse affatto intenzione di andare a casa sua Giairo per guarire la figlia? Certamente questo dubbio doveva abitare il cuore di Giairo mentre aspetta di riprendere il cammino.
Conosciamo ora questa donna. Non sappiamo molto di lei, solo che è malata. Il suo tratto distintivo è la sofferenza a motivo della malattia che, oltre a farla soffrire fisicamente, la fa soffrire interiormente. Infatti la sua è una malattia che le provoca una continua perdita di sangue, rendendola cultualmente impura e, quindi, emarginata religiosamente e socialmente. Certamente è una donna che soffre molto; le cure onerose alla quali si è sottoposta sono risultate fallimentari. Delusa dai medici del tempo, rivolge ora tutta la sua speranza a Gesù di cui ha sentito parlare. È lui il vero medico che guarisce i corpi e i cuori.
La prima scena si svolge in segreto (5,27-29). La donna è la protagonista; Gesù in certo modo subisce la sua guarigione. È lei che agisce e percepisce di essere stata guarita appena tocca il mantello di Gesù. Questo gesto potrebbe apparire un gesto di pura superstizione; Marco però ce lo spiega e mette in luce che è un gesto che esprime l’immensa fiducia che questa donna malata ripone in Gesù. Da lui attende la salvezza; non solo la guarigione fisica, ma la rigenerazione totale, la pienezza di salute, quella che Dio solo può dare (“sarò salvata”: 5,28). Dio non delude le sue aspettative; la sua fede in Dio che salva attraverso Gesù è tale che dal Maestro si sprigiona una potenza trasformante che la guarisce. E Gesù se ne accorge.
Si apre, quindi, la seconda scena; la guarigione della donna è svelata insieme al suo senso profondo. Qui il protagonista è Gesù, che percepisce la forza di guarigione che è uscita da lui e vuole incontrare il destinatario di tale potenza, vuole conoscerlo personalmente.
C’è un po’ di ironia nell’intervento dei discepoli (5,31). Ma Gesù sa quello che cerca. Guarda attorno, cerca con lo sguardo la persona che ha generato nel segreto questo evento. Vuole che liberamente si faccia avanti per incontralo. La donna è impaurita, percepisce che avendo toccato con fede Gesù, è stata toccata dalla potenza di Dio. Certamente è felice, ma anche intimorita da quanto accaduto. Fa quello che il cuore le detta; non scappa, non si nasconde; si prostra, come Giairo, davanti a Gesù e rivela quanto accaduto. In questo atto riconosce la sua piccolezza e riconosce in Gesù il salvatore che ha salvato la sua vita. Dice tutta la verità. Che senso avrebbe mentire? Si mostra nella sua verità di donna malata e impura, la cui grande fede ha smosso la potenza salvante di Dio in Gesù.
Il Signore la rassicura e le manifesta il suo affetto; la chiama figlia perché è rinata a vita nuova, davvero è salvata, è rigenerata alla fede nella fede. Tutto quello che è successo è generato e sostenuto dalla fede di questa donna (“la tua fede”: 5,34). La guarigione e la pace sono i doni che riceve, segno visibile dell’incontro trasformante con Gesù, il salvatore.
Giaro intanto aspetta; ce lo possiamo immaginare fremente mentre il tempo scorre; tuttavia questo episodio lo avrà anche confortato e rafforzato la sua fede.

Non temere, soltanto abbi fede!
Ecco che però vengono ad annunciargli quanto temeva. La figlia è morta. Il buon senso degli altri invita a non importunare ulteriormente il Maestro. Ma è Gesù stesso a reagire a questo invito alla rassegnazione. “Non temere, soltanto abbi fede!” (5,36). Non temere per quello che è successo e non temere per quanto sto per fare. Gesù infatti si appresta a operare qualcosa di inaudito; la potenza di Dio si manifesterà in tutta la sua forza. Gesù chiede solo una cosa a Giairo: “abbi fede”. Giairo deve solo credere. Sembra una cosa da poco, ma non lo è affatto. Deve lasciare ogni altro punto di appoggio che non sia quello della fede: non l’evidenza dei fatti, non il buon senso, non l’assurdità di pensare che Gesù possa dare vita a chi è ormai morto. Gesù non si spiega molto; non dice che cosa o perché credere; chiede di avere fede in lui. Giairo tace e segue Gesù: non ha più parole, esprime con i fatti la sua fiducia in lui.
Il Signore non vuole adesso attorno a sé chi non crede, chi è mosso solo da curiosità. Allontana quanti non credono alla sua parola. Permette solo a tre discepoli di seguirlo insieme a Giairo., quei discepoli che Marco presenta come testimoni degli eventi decisivi della vita di Gesù legati (cfr Mc 9,2ss: la trasfigurazione; Mc 14,32 ss: l’agonia nel Getsemani). Giairo adesso è discepolo con i discepoli.
Arrivato a casa, la sua fede è di sicuro messa alla prova. I fatti parlano chiaro: sua figlia è davvero morta. Gesù interviene e le sue parole suscitano derisione. Il Signore, infatti, si pone su un altro piano. C’è un altro modo di vedere la morte, un modo che va oltre l’immediato e si pone nell’orizzonte del regno di Dio, che è regno di vita, dove Dio “asciugherà ogni lacrima e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno” (Ap 21,4).
Gesù vuole con sé solo i genitori e i tre discepoli che erano con lui. Con gesti affettuosi tocca la bambina, la prende per mano e pronuncia una parola di salvezza. È una parola potente che non solo apre alla possibilità di una comprensione diversa della morte, ma addirittura è parola che dà vita, che salva, che rigenera alla vita.
Marco ci ha tramandato la forza delle vive parole di Gesù lasciandole in aramaico, la lingua di Gesù. Possiamo immaginarci di essere lì e sentirlo pronunciare ancora oggi queste stesse parole, per la bambina, per i suoi genitori, per noi, per tutti coloro che ascolteranno nei secoli queste parole di salvezza: Talità kum!

Alzati!
Alzati! La parola di Gesù rompe il limite della morte. In greco il verbo usato da Marco è lo stesso che usa per indicare la risurrezione di Gesù. La vita nuova che il Signore è venuto a portare si manifesta qui in tutta la sua potenza. Incontrare Gesù è sempre fonte di vita nuova, di rigenerazione e di salvezza.
Marco ci offre alcuni particolari che ci permettono di entrare meglio in questa scena e di percepirne tutta la concretezza. La bambina aveva dodici anni, era nel fiore della vita; dodici anni erano anche quelli della malattia della donna che Gesù aveva appena guarito. Questo semplice particolare le unisce.
Ovviamente tutti sono presi da stupore. Probabilmente sono tanto felici quanto spaventati. Gesù si rivela ancora nella sua estrema delicatezza. Chiede che le diano da mangiare: la bambina ha bisogno di essere rifocillata e di rientrare nella quotidianità. Il suo ordine di non far sapere quanto accaduto è praticamente irrealizzabile. È un ordine simbolico. Marco ci ricorda che ancora nessuno è davvero pronto a comprendere fino in fondo quanto avvenuto. Solo dopo la sua morte e la sua risurrezione i discepoli potranno mettere insieme tutti i pezzi di questa incredibile avventura che stanno vivendo e conoscere per grazia il mistero “come ora è stato rivelato” (Ef 3,3).

PER RIFLETTERE DURANTE LA GIORNATA

  1. L’itinerario di fede di Giairo inizia con un gesto particolare. Egli si pone con umiltà ai piedi di Gesù, totalmente dimentico del suo status sociale, senza preoccuparsi del giudizio delle persone che gli stanno accanto. Pensando al nostro cammino personale, chiediamoci con sincerità se ci sentiamo liberi di esprimere la nostra fede, senza preoccuparci del giudizio degli altri, con umiltà né senza ostentazione, in verità.
  2. A volte la preoccupazione di preservare la nostra immagine può portarci a non riconoscere i nostri bisogni reali, a non accettare i nostri limiti, a chiuderci nell’autosufficienza, a pensare di avere sempre la risposta pronta a tutto. Questo può succedere anche all’interno della comunità cristiana. Possiamo nasconderci dietro a ruoli, compiti, ministeri. Riflettiamo su questo e chiediamo al Signore di donarci la libertà dei figli di Dio.
  3. Giairo non nasconde il suo bisogno davanti a Gesù e lo supplica di esaudirlo. Domanda con insistenza, ma allo stesso tempo lascia totalmente libero Gesù di agire come meglio crede. Egli continua ad avere fede anche se non vede immediatamente realizzato ciò che chiede. Riflettiamo su questo aspetto della fede di Giairo e sulla nostra fede. Lasciamo libero Gesù di condurre i nostri desideri dove è il nostro vero bene? Gesù dona più di quanto osiamo sperare, come ha fatto con Giaro: sua figlia non è semplicemente guarita, è addirittura risorta!
  4. La donna malata si avvicina a Gesù nel silenzio e vive un’esperienza di salvezza integrale grazie alla fede che la porta a cercare il contatto fisico con Gesù. Sperimentiamo anche noi che il contatto quotidiano con il Signore Gesù è linfa vitale che non può mai mancare nelle nostre giornate? La preghiera, l’ascolto della parola di Dio, la partecipazione ai sacramenti sono strumenti privilegiati che sostengono il nostro cammino alla sequela di Gesù. Riflettiamo quale posto occupano nella nostra giornata concreta.

♦ MEDITATIO:
LA PAROLA RISUONI NEI NOSTRI CUORI
Leggiamo e rileggiamo il testo biblico
perché la Parola risuoni nel nostro cuore.

RIFLETTIAMO con Evangelii Gaudium

La liberta inafferrabile della Parola
22. La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cfr Mc 4,26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi.

La gioia del Vangelo non esclude nessuno
23. L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione «si configura essenzialmente come comunione missionaria». Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. Così l’annuncia l’angelo ai pastori di Betlemme: «Non temete, ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). L’Apocalisse parla di «un vangelo eterno da annunciare agli abitanti della terra e a ogni nazione, tribù, lingua e popolo» (Ap 14,6).

Prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare
24. La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. “Primerear – prendere l’iniziativa”: vogliate scusarmi per questo neologismo. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa “coinvolgersi”. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: «Sarete beati se farete questo» (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evita di non tenere conto dei limiti. Fedele al dono del Signore, sa anche “fruttificare”. La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni lamentose né allarmiste. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti. Il discepolo sa offrire la vita intera e giocarla fino al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice. Infine, la comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre “festeggiare”. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi.

Papa Francesco, Evangelii gaudium, 22-24

♦ORATIO:
A TE, SIGNORE, SALE LA MIA PREGHIERA!

Colui che spera in te   (Giovanni Paolo II, † 2005)
Dio Trino, siamo davanti a te con il profondo desiderio
di creare una vera comunità tra giovani e anziani,
tra poveri e ricchi, tra tutte le nazioni.
Desideriamo ardentemente rimuovere le divisioni tra di noi.
Aiutaci a superare le innumerevoli barriere
che noi stessi creiamo.
Aiutaci a dissipare i nostri sospetti.
Rendici capaci di riconoscere le buone intenzioni
di quanti incontriamo.
Aiutaci a mettere da parte le nostre incertezze.
Rendici capaci di apprezzare la dignità degli altri.
Aiutaci a dissipare le nostre paure.
Rendici capaci di placare i timori degli altri.
Aiutaci a sconfiggere il nostro orgoglio.
Rendici capaci di amare il nostro prossimo come noi stessi.
Concedici il dono di una vera comunità riconciliata. Amen.

♦ CONTEMPLATIO:
DAMMI OCCHI NUOVI, SIGNORE, PER CONTEMPLARE LE TUE MERAVIGLIE!
Chiediamo con umiltà al Signore un cuore puro,
capace di vedere tutto e tutti
con gli occhi buoni di Dio che è buono.

Nel silenzio                  (Carlo Maria Martini, † 2012)
Donaci, Gesù, di vivere questo momento di silenzio
in stretta comunione con te,
riprendendo a una a una le tue parole,
ripercorrendole, interrogandoti,
invocando la luce
per intercessione di Maria, vergine della fede.
Donaci, Signore,
di vivere questo momento di silenzio
raccogliendo dalle tue parole
la gioia di vivere la fede.

♦ ACTIO:
SIGNORE, COSA VUOI CHE IO FACCIA?
Abbiamo ascoltato, meditato, pregato.
La Parola ci chiede di essere vissuta
nella concretezza di tutti i giorni, a cominciare da OGGI.

La mia parte è il Signore:               Sl 119(118),57.60
ho deciso di osservare le tue parole.
Mi affretto e non voglio tardare
a osservare i tuoi comandi.