CRISTIANI UNITI DALLA MISERICORDIA | Il mondo ortodosso e la Riforma

La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. (…) Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione.
(Misericordiae vultus 23)

 

La misericordia nel mondo ortodosso

Per affrontare il tema della misericordia nel mondo ortodosso è necessario rifarsi alla direttrice fondamentale di quella chiesa: la Tradizione. La riflessione patristica riguardo alla misericordia è  sconfinata. I Padri sono sempre partiti dalle parole di Gesù: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”; parole con cui ogni giorno il cristiano si dichiara pronto ad essere coinvolto in quell’opera di liberazione che il perdono osa realizzare.
Un padre per tutti, Silvano dell’Athos, infatti, afferma: “Dove c’è il perdono (…) c’è la libertà”. L’uso della misericordia è atto di liberazione: di chi è perdonato, ma anche di chi perdona, che si affranca così dal peso paralizzante del rancore. L’espressione: “Rimetti a noi nostri debiti come noi li rimettiamo” non intende condizionare il perdono di Dio al nostro, ma sottolineare che quest’ultimo richiede di essere accolto; e il modo per accoglierlo è accordarlo a nostra volta all’altro.
Anche la tradizione monastica ha riflettuto sulla misericordia. Pacomio, padre del monachesimo cenobitico, ha tentato di tradurre nelle strutture stesse di quella forma monastica comunitaria da lui iniziata, gli strumenti della riconciliazione. La comunità che è spesso fonte di ferite alla comunione può essere anche luogo terapeutico per eccellenza, se resta fedele a quelli che per Pacomio sono gli strumenti della riconciliazione: l’obbedienza alla Parola di Dio e la coscienza del proprio peccato, seguita dall’accoglienza della misericordia che Dio accorda instancabilmente.
C’è anche la pratica dell’accompagnamento spirituale tipico dei padri di Gaza. Quella cura che Barsanufio, Giovanni e Doroteo hanno saputo mostrare nei confronti di quanti ricorrevano alla loro parola non era altro che il riflesso della cura che Dio si prende di ogni essere creato. Dio si prende cura, e in ciò rivela il suo volto più autentico; ed è questa cura che tiene in vita il mondo, secondo i padri di Gaza. Ma per essere colta, essa richiede profonda umiltà, condizione necessaria alla pratica della misericordia e del perdono. Solo l’umile è capace di fare della misericordia l’orizzonte della propria esistenza e vivere di una misericordia vera e non illusoria.
Infine, un’altra voce importante proveniente dalla Mesopotamia è Isacco di Ninive, in particolare la sua riflessione sul rapporto tra giustizia e misericordia. La misericordia di Dio, afferma Isacco, non può essere bilanciata dalla sua esigenza di giustizia, non perché abbia un peso maggiore di quest’ultima, ma perché la trascende, essendo il suo amore eterno e immutabile. Partendo da tale considerazione, egli prospetta la possibilità di una salvezza universale, che è e resta, nonostante il peccato delle creature, il desiderio più profondo del Dio, che Isacco ha imparato a conoscere nella propria esperienza di peccatore sempre perdonato. La croce non è altro che la rivelazione più alta di tale sentimento di Dio. Ogni atto divino, anche il suo giudizio, mira alla guarigione; anche il fuoco della geenna non è espressione di vendetta ma di amore.
Nel mondo ortodosso c’è anche la testimonianza di alcune figure  che hanno saputo mostrare nella loro stessa esistenza la forza rigenerante del perdono e della misericordia, mostrandosi come altrettanti riflessi del Dio-agape in cui hanno mostrato così di credere non solo a parole ma con la vita: il principe Vladimir di Kiev (958-1015), che ha mostrato la propria conversione al Cristo mite e umile di cuore tramite un esercizio del proprio potere politico vissuto alla luce del Vangelo; il monaco mistico Nil Sorskij (1430-1508), che ha sentito la propria chiamata alla vita monastica come un appello a ricevere misericordia; padre Aleksandr Men’ (1935-1990), testimone di una misericordia pagata a caro prezzo nella Unione Sovietica, che in una società violenta ha saputo rimanere fedele al volto misericordioso del Padre e a testimoniarlo fino al dono della propria vita; il monaco egiziano Matta el-Meskin (1919-2006) che ha saputo vivere e annunciare il perdono e la misericordia come l’espressione più eloquente della vitalità di quell’uomo nuovo che cresce nell’intimo di ogni essere vivente, affermando che il perdono denota la vera forza interiore, l’essere nuova creatura in Cristo.

La misericordia nella Riforma

Al di là delle ben note vicende storiche che hanno dato origine alla Riforma, il tema della misericordia rimane uno dei punti fondamentali della spiritualità della Riforma. L’idea di un Dio castigatore e vendicativo aveva gettato molti nell’angoscia  a proposito della loro salvezza eterna. Il caso più noto e carico di pesanti conseguenze per la storia della Chiesa è il giovane teologo agostiniano Martin Lutero (1483-1546) che, sulla scia di Paolo e di Agostino, per lungo tempo fu tormentato dalla domanda: “Come posso trovare un Dio benigno e misericordioso?”. Finchè un giorno egli riconobbe che la giustizia di Dio, nel senso della Bibbia, non è la sua giustizia punitiva, ma la sua giustizia giustificante, e quindi, la sua misericordia. In opposizione a deviazioni dottrinali e pratiche della sua epoca, Lutero ha insistito sul carattere completamente gratuito, immeritato e incondizionato del perdono dei peccati, ravvisandovi il centro del Vangelo cristiano. Tutti i Riformatori successivi fecero propria questa dottrina: l’uomo è giustificato per la sola misericordia di Dio, mediante la fede, non per i propri meriti, ma soltanto per i meriti di Cristo.
Il Concilio di Trento affermò anch’esso che la salvezza è opera di Dio e della grazia, precisando però, al fine di salvaguardare la responsabilità e la libertà dell’uomo, che l’uomo deve cooperare alla salvezza  sotto l’azione dello Spirito e della grazia preparandosi a riceverla e ricordando che non sono affatto esclusi i meriti dell’uomo giustificato che, spinto dalla grazia divina, compie opere buone, meritandosi così “un aumento della grazia e della gloria”. In questo senso il Concilio di Trento  respinse il sola fide di Lutero (can. 9 del decreto ”Sulla giustificazione”).
Il tema della misericordia di Dio e della sua giustificazione è rimasto un tema dominante in tutta la spiritualità della Riforma, fino al nostro secolo. Ciò ha condotto ad un numero impressionante di “dottrine sulla giustificazione”, segno della vitalità e della problematicità di questo tema. Un nome per tutti è quello di Karl Barth (1886-1968). Nelle sue riflessioni tornano i temi cari a Lutero per ribadire il no al titanismo pelagiano e il sì all’esclusivismo della salvezza ad opera di Dio, che avviene per l’uomo nella oscurità paradossale della “teologia della croce”, segno della infinita misericordia di Dio.
Ci sono voluti molti secoli prima che in questa questione della giustificazione del peccatore luterani e cattolici potessero trovare un consenso fondamentale, consenso che è stato formulato nella Dichiarazione ufficiale comune sulla dottrina della giustificazione (1999), dalla Federazione Luterana Mondiale e dalla Chiesa Cattolica. Ciò è stato possibile soltanto perchè si è riconosciuto insieme che la giustizia di Dio è la sua misericordia. Ma finora non si sono ancora tratte le conseguenze che dall’unione nella giustificazione derivano per la dottrina su Dio e per un nuovo modo di parlare di un Dio liberante e misericordioso. Qui si pone, nel segno di una nuova evangelizzazione, ancora un comune cammino ecumenico fondamentale.