I LUOGHI DELLA MISERICORDIA |La bellezza a servizio della carità

Fede e preghiera, arte e bellezza, carità e misericordia si sono intrecciate in maniera indissolubile in istituzioni fiorentine la cui attività ha attraversato i secoli ed è giunta sino a noi in forme diverse, ma sempre caratterizzate da un intenso altruismo, diventato espressione della città. Già nel Medioevo gli istituti di assistenza sono stati oggetto di committenze e ai complessi architettonici venivano destinati capolavori, poiché in ospedali, lazzaretti, ospizi per pellegrini, sedi di confraternite, luoghi di accoglienza per l’infanzia, l’arte ha assolto un ruolo educativo e sociale. Una carità espressa sia in ambito religioso che civile, tanto che i diversi organismi che se ne facevano carico sono divenuti, nel tempo, parte integrante dell’idea stessa di Firenze, in stretto rapporto con il tessuto urbano. Istituzioni – come il Bigallo, la Misericordia, gli Innocenti, i Buonomini di San Martino, le confraternite di San Niccolò del Ceppo, di San Francesco Poverino, di San Tommaso, la Pia Casa di Montedomini – tanto inserite nella città da fornire una chiave di lettura della sua vita sociale, economica e artistica.

Arciconfraternita della Misericordia

Piazza del Duomo, 20

L’Arciconfraternita della Misericordia ha avuto origine dalla Società Novella di Santa Maria, detta della Misericordia, diretta filiazione della Società della Fede, fondata nel 1244 dal domenicano Pietro da Verona, san Pier Martire, venuto a Firenze per contrastare l’eresia patara. La confraternita, che aveva terminato di edificare la propria sede di fronte al Battistero nel 1361, si occupava dall’origine di seppellire i morti insepolti, di condurre i malati agli ospedali e di accudire i bambini abbandonati sulla piazza di San Giovanni. Nel 1425 fu riunita alla Compagnia del Bigallo ma nel 1489, se ne staccò, si ricostituì nella “Nuova Misericordia”, ebbe un nuovo statuto e dal 1525 si trasferì nella chiesa di San Cristoforo, presso il Corso degli Adimari, per approdare poi, nel 1575, nel palazzo degli Ufficiali dei Pupilli in piazza San Giovanni, l’attuale sede.
Le attività caritative svolte dai confratelli vengono mostrate da tavolette di Santi di Tito del 1578-1580 (nella foto), già sull’altare dell’oratorio, di cui purtroppo se ne conservano in originale solo due: Visitare gli infermi e Seppellire i morti. A ribadire le parole del Vangelo “ciò che farete a un vostro fratello lo avrete fatto a me”, il pittore raffigura Gesù Cristo nella persona che riceve l’opera di misericordia. L’altra attività peculiare del sodalizio è illustrata da un dipinto attribuito a Baccio del Bianco in una scena che probabilmente – come farebbe presumere l’abbigliamento degli spettatori e per l’uso del cataletto che aveva sostituito la “zana”, la tradizionale cesta di legno – si riferisce all’epidemia pestilenziale del 1630. Molte delle importanti opere d’arte, alcune delle quali presentano l’attività caritativa del gruppo, sono adesso esposte nel nuovo Museo della Misericordia.

Museo, già Compagnia del Bigallo

Piazza San Giovanni, 1

oratorio-del-bigallo-madonna-della-misericordiaLa Compagnia del Bigallo, in origine Società Maggiore di Santa Maria, derivò come la Misericordia dalla Società della Fede, fondata da Pietro da Verona. La compagnia ebbe da subito la sovrintendenza sull’ospedale dell’Apparita, detto del Bigallo, dal quale forse mutuò il nome. Dal 1425 fu riunita a quella della Misericordia ma nel 1525 quest’ultima, di nuovo autonoma dal 1489, trasferì la propria sede. Gli ambienti edificati dalla Misericordia vennero lasciati al Bigallo e accolgono ancora oggi importanti testimonianze della storia dei due sodalizi, in particolare l’affresco di un artista vicino a Bernardo Daddi (da taluni critici identificato nel “Maestro di Barberino”) che rappresenta la Madonna della Misericordia (nella foto). Risalente al 1342, costituisce il più antico tentativo di raffigurare Firenze nella sua totalità, ma soprattutto il piviale della ieratica figura, attorno a cui si stringono uomini e donne, è decorato da undici medaglioni, sette dei quali illustrano le opere di misericordia corporale, identificate da una iscrizione: “visito”, “poto”, “cibo”, “redimo”, “tego”, “colligo”, “condo”; cioè – in prima persona – “visito gli infermi”, “dò da bere agli assetati”, “dò da mangiare agli affamati”, “riscatto i carcerati”, “vesto gli ignudi”, “alloggio i pellegrini”, “seppellisco i morti”.
Un affresco staccato raffigurante I Capitani della Misericordia affidano alle “madri” i fanciulli abbandonati e smarriti presenta invece una delle attività del sodalizio che aveva costruito la sede: per tre giorni custodiva i fanciulli abbandonati e smarriti, per affidarli poi a donne pagate per prendersene cura.
Nel 1541 il Bigallo ebbe da Cosimo I la sovrintendenza su tutti gli ospedali dello Stato con l’obbligo di devolvere gli avanzi di gestione a favore degli orfani di età superiore ai tre anni. Questa magistratura venne poi abolita nel 1790 da Pietro Leopoldo e l’istituzione fu ancora investita del compito di accogliere degli orfani, anche a seguito della trasformazione in Opera Pia.

Istituto, già Spedale degli Innocenti

Piazza Santissima Annunziata

puttoLa fondazione degli Innocenti è caratterizzata dagli elementi distintivi che hanno fatto grande Firenze: la generosità di un mercante-banchiere come Francesco Datini, che nel 1410 legò mille fiorini allo Spedale di Santa Maria Nuova “per principiare uno luogo nuovo … il quale i fanciulli notrichi e notrire faccia, i quali ivi saranno rilasciati o gittati” e la tutela da parte di un’istituzione laica quale l’Arte della Seta, cui fu trasferita la donazione e che nel 1419 acquistò il terreno per il nuovo edificio prossimo alla piazza dei Servi di Maria. La corporazione si assunse l’impegno della costruzione del complesso e del mantenimento del nuovo Spedale, mentre il Comune concesse la riscossione di tasse pubbliche. La costruzione fu affidata a Filippo Brunelleschi, uno dei principali orafi iscritti all’Arte della Seta e architetto designato per la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore. Fu dunque scelto l’artefice più in voga per edificare un luogo destinato agli ultimi, poiché il sostegno materiale era concepito come inscindibile da quello spirituale e dal pensiero della bellezza avvertita come terapia degli affanni dell’anima e del corpo.
Il 5 febbraio 1445 fu accolta la prima creatura, Agata Smeralda, posta sulla “pila”, una specie di acquasantiera provvista di cuscino. I fiorentini affidavano i bambini agli Innocenti – alla solida istituzione che ancora oggi, dopo sei secoli, continua a occuparsi di infanzia – ma anche alla Vergine, che in un antico stendardo processionale (nella foto) viene mostrata mentre accoglie con tenerezza sotto il manto “nocentini” di età diversa davanti al loggiato brunelleschiano. Una carità espressa sia in ambito religioso che civile: il nuovo museo, nel quale la toccante memoria privata diviene collettiva, è aperto dal 24 giugno 2016.

Compagnia di San Francesco Poverino e “Buca” di San Girolamo in San Filippo Benizi

Loggiato dei Serviti, angolo palazzo Budini Gattai

La confraternita riunisce tre gruppi laicali, ricordati nell’intitolazione e accomunati dalla sede. L’edificio fu costruito dalla Compagnia di San Filippo Benizi tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento tamponando le prime arcate del loggiato dei Serviti. La confraternita dedicata al Benizi fu soppressa nel 1785 dal granduca Pietro Leopoldo insieme alla maggior parte degli altri sodalizi toscani, ma nel novembre di quello stesso anno divenne sede di una delle compagnie “preservate” dalla soppressione, la Buca di San Girolamo, che aveva dovuto abbandonare gli ambienti utilizzati dal 1413 all’interno dello Spedale di San Matteo perché destinati dal granduca all’Accademia di Belle Arti. I confratelli trasferirono in San Filippo i loro importanti arredi, tra cui due tavole di Jacopo da Empoli e un pregevole San Girolamo quattrocentesco in terracotta. A quel punto il sodalizio assunse il nome di “Buca di San Girolamo in San Filippo Benizi”, ma nel 1912 era sull’orlo della chiusura per mancanza di membri e fu decisa la fusione con la compagnia dedicata a San Francesco e detta “del Poverino”, la cui sede era stata demolita nel 1844 per l’apertura di via Ferdinando Bartolommei e che da allora si riuniva in San Giovannino dei Cavalieri. A fianco dell’oratorio principale, i cui affreschi e stucchi settecenteschi sono stati recentemente restaurati, nel Settecento era stata edificata la Cappella del Tornantino, che fu eliminata nel 1948 per volontà del Cardinale Elia Dalla Costa al fine di trasformare l’ambiente in mensa destinata a “Sacerdoti e Studenti Cattolici”, affidata alle “Signorine dell’Opera Ritiri”. Nel luglio 1990 la conduzione è passata alla Madonnina del Grappa e dal 2006 è subentrata la Caritas, ma la proprietà degli ambienti è rimasta alla Compagnia, nel cui oratorio la domenica viene celebrata la messa di San Pio V.

Compagnia di San Niccolò di Bari detta del Ceppo

Via Pandolfini, 3

Una compagnia dedicata a San Niccolò di Bari e alla Visitazione della Vergine fu fondata nel Trecento presso la chiesa di San Niccolò Oltrarno. Nel 1417 si trasferì nella zona di Santa Croce, vicino allo Spedale dei Santi Jacopo e Filippo, detto il “Ceppo delle Sette Opere di Misericordia”, oggi distrutto.
L’appellativo “del Ceppo”, che allude a un edificio costruito con le elemosine introdotte in un tronco d’albero vuoto, è pervenuto alla confraternita proprio per l’ubicazione della sede presso lo Spedale così denominato. Scopo del sodalizio era l’insegnamento dei principi religiosi ai giovani. In seguito all’assedio del 1529-1530 i confratelli dovettero abbandonare gli spazi all’interno dello Spedale, e nel 1561 acquistarono un terreno per edificare la propria sede all’angolo tra le attuali via Pandolfini e Verdi. Al 1565 risale il solenne trasferimento nei nuovi ambienti, costituiti inizialmente da un oratorio, un vestibolo e un cortile: i confratelli traslarono anche il pregevolissimo Crocifisso tra i santi Francesco e Niccolò del Beato Angelico, databile intorno al 1430, oggi conservato in sagrestia.
Nel 1733 fu iniziata la decorazione ad affresco della volta e delle lunette dell’oratorio, e insieme della volta e delle pareti del vestibolo: nel mese di maggio vennero innalzati i ponti per permettere l’intervento dei pittori Giovan Domenico Ferretti e Pietro Anderlini. Al Ferretti si devono lo sfondo dell’oratorio con San Niccolò in gloria, oltre alle figure delle lunette e agli angeli nello sfondo del vestibolo, mentre all’Anderlini le quadrature architettoniche. I lavori risultano compiuti per la festività di San Niccolò, 6 dicembre, del 1734.
Il sodalizio fu tra i nove che non vennero soppressi dal granduca Pietro Leopoldo nel 1785 e poté conservare la sede, gli arredi e l’archivio e pertanto è tra i pochi che può oggi assolvere alla funzione di fonte di memorie, arredi e usi del fenomeno confraternale fiorentino.

Congregazione dei Buonomini di San Martino

Piazza di San Martino

Il primo febbraio 1442 Sant’Antonino Pierozzi, priore domenicano di San Marco, fondò un nuovo sodalizio caritativo, composto da dodici “Procuratori”, destinato a soccorrere i “poveri vergognosi”, cioè chi, avendo goduto di agiatezza o di un tenore di vita decoroso, si trovasse per le cause più svariate ridotto in povertà e proprio a motivo della passata condizione avvertisse il disagio e l’umiliazione di dover ricorrere alla carità del prossimo, “vergognandosi” a elemosinare.
Il sodalizio iniziò i lavori alla sede nel marzo del 1478: il semplice oratorio è decorato da un ciclo pittorico – opera della bottega di Domenico Ghirlandaio, forse del fratello Davide – databile al 1480-1485, molto significativo perché, oltre a due storie del santo protettore Martino di Tours, ripropone le attività caritative svolte dai Buonomini, costituendo una preziosa testimonianza della vita quotidiana fiorentina del tempo. Le attività si ispirano alle tradizionali Opere di Misericordia, ma sono illustrate nei modi con cui la Congregazione le metteva in atto. Il ciclo prende avvio dalla Visita a una famiglia bisognosa prima di assegnare gli aiuti e prosegue con I Buonomini concedono una dote; distribuiscono cibo e bevande; distribuiscono abiti; visitano una puerpera; riscattano un carcerato per debiti; pagano per il soggiorno di pellegrini; permettono il seppellimento di un morto.
All’esterno dell’oratorio la buca “per le istanze” è destinata alle richieste di aiuto che potevano – e possono tuttora – essere inserite nell’apertura giorno e notte, nel momento più propizio per non essere visti. Dalla parte opposta si apre la buca delle “limosine”, vicina ad un tabernacolo con la figura di San Martino, protettore del sodalizio. Quando mancavano i fondi per aiutare i poveri i Buonomini accendevano sulla base del tabernacolo un lume per informare la cittadinanza delle difficoltà finanziarie: si dice che da questa usanza sia nata l’espressione “essere al lumicino” per indicare ristrettezze economiche.

Pia Casa di Lavoro di Montedomini

Via dei Malcontenti, 6

In prossimità dell’Arno, vicino alla Porta della Giustizia, il Comune fiorentino stabilì nel 1476 di realizzare un lazzaretto destinato agli ammalati di peste, detto “degli Ammorbati”, che restò in uso fino al 1531, quando fu concesso a due comunità di suore che avevano dovuto lasciare la sede primitiva nel momento in cui, in previsione dell’assedio, vennero abbattuti gli edifici esterni alle mura cittadine. La parte ovest del lazzaretto fu accordata alle suore del convento di Santa Maria Annunziata di Monticelli, l’altra a quelle di Santa Maria Assunta di Montedomini, ambedue dell’Ordine delle Clarisse. L’appellativo di “Monticelli” derivava al convento dalla sua primitiva ubicazione nella zona di Bellosguardo, e il nome rimase anche dopo che le suore si trasferirono all’interno della cerchia muraria. Nel 1813, a seguito delle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi, i due conventi vennero riuniti e trasformati in Deposito di Mendicità. Compito dell’istituzione era l’accoglienza dei poveri mendicanti e la reclusione dei “minori corrigendi”; nel 1816 il granduca Ferdinando III d’Asburgo Lorena la trasformò in Pia Casa del Lavoro per offrire aiuto agli indigenti, educazione alle fanciulle ma anche servire come reclusorio per i “questuanti”. Trasformata con l’avvento del Regno d’Italia in Opera Pia, accolse pure i reduci delle Battaglie d’Indipendenza, in seguito anche malati cronici e orfani: ancora nel 1952 la Pia Casa ospitava mille persone tra anziani e giovani, ma dopo l’alluvione del 1966 furono soppressi i reparti dei ragazzi e delle bambine; oggi è una ASP, Azienda Pubblica Servizi alla Persona.
Gli affreschi della volta della chiesa (nella foto), dedicata a San Ferdinando per volere di Ferdinando di Lorenza, sono di Agostino Veracini e raffigurano la Madonna in gloria che porge il Bambino a San Francesco, mentre le quadrature sono lavoro di Marco Sacconi del 1714.

Compagnia dei Contemplanti di San Tommaso d’Aquino, detta di San Tommasino dei Nobili

Via della Pergola, 10

La confraternita fu fondata dal domenicano Fra Santi Cini, predicatore in San Marco, che nel 1566 riunì ventuno appartenenti a importanti famiglie fiorentine. Il gruppo si trasferì in via della Pergola il 1° agosto 1567, e questa data venne considerata quella reale della fondazione. Il pittore e architetto Santi di Tito fu ammesso a farne parte e a lui si deve la costruzione e la primitiva decorazione dell’oratorio, nonché dell’annesso ospizio per pellegrini. La prima pietra fu benedetta dall’arcivescovo Antonio Altoviti il 13 agosto 1568 e appena sei mesi dopo, il 24 febbraio 1568 (1569 secondo il computo moderno), fu celebrata la messa all’altare.
L’ospizio era composto da numerosi ambienti tra i quali un refettorio, una stanza da bagno, una sala per l’udienza, un dormitorio, una cappellina e un giardino. Il tutto trovò posto su un’area molto limitata, perché la facciata su via della Pergola misurava circa 32 metri e l’edificio era profondo solo 29. Nell’oratorio il modenese Carlo Ghibertoni realizzò nel 1695 la decorazione a scagliola dell’altare e delle pareti, a partire dall’altezza di due metri. L’Arno ha solo lambito la parte inferiore dei pannelli di gesso “armato” con arelle, cioè gambi essiccati della canapa, e in alcuni punti era ancora possibile osservarne la struttura. Nel 1710 Giovan Camillo Sagrestani ha affrescato San Tommaso d’Aquino in gloria al centro della volta, Ranieri Del Pace portato a termine le altre figure e Rinaldo Botti realizzato le quadrature, cioè le architetture illusionistiche.
Tra gli scopi primari della confraternita l’accoglienza dei “Pellegrini oltramontani”, ricevuti “con buono trattamento”: nell’Anno Santo 1600 ne vennero alloggiati ottomila. La compagnia, soppressa da Pietro Leopoldo nel 1785, fu ripristinata nel 1790 e assunse il titolo di Confraternita di San Francesco Saverio e del Santissimo Nome di Gesù. Gli ambienti – in parte restaurati – sono utilizzati dal 1989 dalla Comunità di Sant’Egidio.