Sussidio di Quaresima 2018 – I Settimana di Quaresima

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I Settimana di Quaresima

Lunedì 19 febbraio 2018

Vieni, Spirito di santità,

riempici di te,

plasmaci,

trasformaci,

perché possiamo rispondere alla chiamata alla santità

che Dio rivolge ad ogni uomo e ogni donna:

“Siate santi perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. Amen.

 

Dal Vangelo secondo S. Giovanni

“Se non credete che “Io sono” morirete nei vostri peccati”. (Gv 8,24)

“Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo allora saprete che “Io sono” (Gv 8,28)

” Prima che Abramo fosse “Io sono”! (Gv 8,58)

 

Riflessione: Gesù è l’ “Io sono” di Dio

Gesù non teme di attribuire a se stesso il Nome di Dio.  Gesù si identifica con Jahwè, una cosa inaudita per la mentalità ebraica. Nel Vangelo di S. Giovanni diventa addirittura un’affermazione esplicita.

Gesù è questa eterna Presenza di Dio accanto a me senza più limiti di tempo e di spazio. Da quando Gesù è stato innalzato sulla croce noi sappiamo per sempre che Lui è la Presenza di Dio, del suo amore solidale e misericordioso per noi fino alla morte. Se non crediamo che Gesù è questa Presenza salvifica di Dio, noi conosceremo solo la morte, il vuoto e il nulla.

Nel racconto della passione di Giovanni all’inizio del cap. 18 si legge che Gesù aveva domandato ai soldati che erano venuti al Getsemani di notte per arrestarlo:

” Chi cercate”? E a quelli che avevano risposto:” Gesù, il Nazareno” Egli aveva detto chiaramente senza esitare:” Sono Io”!

Anche in questo momento supremo in cui Gesù si consegna ai soldati, si attribuisce in qualche modo il nome di Jahwè.

Insomma si potrebbe dire: “Chi è Dio”? E’ Colui che sta sempre dalla mia parte fino a prendere una carne umana come la mia in Cristo Gesù e a dare se stesso per me fino alla morte e alla morte di croce. Cristo è la visibilità dell’amore infinito di Dio per me.

Del resto la conclusione del racconto della Passione secondo il Vangelo di Marco è commovente a questo proposito.

Il riconoscimento dell’identità divina di Gesù avviene, dopo la strategia del segreto messianico perseguita lungo tutta la vita pubblica del Maestro, nel momento della suprema sconfitta, della massima umiliazione, al momento della morte: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15, 40)

E’ nel dono supremo e totale di sé sulla Croce che Gesù, paradossalmente, dimostra di essere il Figlio di Dio, il Dio con noi, il Dio per noi, dalla nostra parte, il Salvatore nostro.

Gesù realizza il suo Nome divino sopra tutto nella e con la croce, è lì che dimostra il suo “esserci”, “Io ci sono”!

Non dimentichiamo che l’ora della gloria in S. Giovanni coincide con l’ora della croce:” Padre è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te”(Gv 17,1) e ancora:” “Io ti ho glorificato…e ora Padre glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse”.(Gv 17,4-5) La gloria spesso nella Bibbia è la manifestazione visibile della presenza, dell’intervento salvifico di Dio.

 

Preghiamo

Convertici a te, o Padre, nostra salvezza

e formaci alla scuola della tua sapienza,

perché l’impegno quaresimale

lasci una traccia profonda nella nostra vita.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Martedì 20 febbraio 2018

Spirito santo,

Gesù ci ha insegnato a pregare

e ci ha insegnato a chiamare Dio nostro Padre.

Vieni in nostro aiuto,

perché le parole di Gesù scendano in profondità nel nostro cuore.

Fa’ che sperimentiamo ogni giorno il dono della preghiera

e che proclamiamo con tutta la nostra vita

che Dio ci ama di un amore infinito,

per sempre. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 3, 13-19)

Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè «figli del tuono»; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì”.

 

Riflessione: La preghiera come essenza dell’umano

La preghiera è azione, opera di Dio in me e per me, prima che opera mia verso di Lui.

La preghiera è Parola sua a me prima che parola mia a Lui.

Non dimentichiamo che secondo la Genesi tutta la creazione è una semplice e grandiosa parola di Dio. Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu” con quel che segue.

E’ Dio che mi parla, che si rivela, che mi chiama, che mi ama, che mi salva e, per far questo, si serve della Parola della Creazione, della Parola della Rivelazione, della Parola della Redenzione e sopra tutto della Parola fatta carne, Cristo Gesù.

Allora si capisce perché, quando Marco racconta la chiamata dei 12 dice letteralmente: “Ne scelse 12 perché stessero con Lui e poi perché andassero a predicare”.

La prima cosa è che “che stessero con Lui”. Che andassero a predicare è importante, ma viene dopo. Stare con Lui, contemplare la sua bellezza, la sua dolcezza, la sua salvezza, la sua pienezza, la sua Parola, scoprire che Lui è tutta la nostra vita, che senza di Lui non siamo nulla, che con Lui siamo tutto, che Lui ha la risposta per tutto, questo vuol dire pregare.

La questione unica e decisiva allora è: scegli Lui come il tutto della tua vita? Ti basta o no? Lo ami più di ogni altra cosa, scegli Lui, solo Lui, per sempre? Ti basta appartenere a Lui? Hai fatto una tale esperienza di Lui da giocare tutta la tua vita su di Lui?

Noi dobbiamo essere esperti nell’amore, nella contemplazione, nella adorazione nello stupore, nel Mistero, il resto è tutto secondario. Dobbiamo essere gli uomini del “nuovo”, di “quel di più” senza del quale non si vive.

Per questo sono importanti gli strumenti classici: preghiera personale, meditazione, Liturgia delle ore, Eucaristia, Rosario e particolarmente, mi permetto di suggerire, la vita dei santi. Dio non si vede, i santi sono di carne e ossa come noi, sono l’”ottavo sacramento”.

Per noi sacerdoti poi la liturgia delle ore occupa un posto privilegiato. E’ la preghiera della Chiesa, è l’opus Dei, l’ “officium divinum”. Basterebbero queste espressioni per farcene capire l’importanza. Questa preghiera è azione, opera di Dio. A cosa servono tutte le nostre opere se non sono espressione dell’opera di Dio? Dove c’è lo Spirito c’è la potenza dello Spirito, ma dove c’è l’opera umana soltanto, c’è l’insufficienza e il limite delle cose umane. Per questo per noi preti lasciare la liturgia delle ore vuol dire tradire l’essenza della nostra vocazione.

Un accenno, infine, potremmo farlo alla “preghiera degli atei” che è un richiamo  grande  allo specifico della nostra missione di preti.

Faccio solo tre esempi: uno di Pupi Avati, uno di Umberto Saba e uno di Ignazio Silone.

Pupi Avati: “Quando prego, e prego, gli chiedo di esistere”!

Umberto Saba, in occasione del funerale civile della moglie: ”La sua sepoltura fu aconfessionale. Ma…io non posso, per una specie d’istinto, sopportare un funerale laico. Così, mentre la bara veniva messa nel cubicolo a lei destinato, chiesi al sindaco il permesso di dire due parole. Lessi, in italiano, ad alta voce il Padre nostro; seguendo un moto del cuore, per il quale mi feci prestare dai buoni padri la suddetta preghiera…Ma quella preghiera che (va da sé) conoscevo, si può dire da sempre, è così bella, così grande, così universale che, o pregare non serve, o, se serve, non ce n’è una al mondo che l’uguagli…Dicendola, mi sentii, ancora una volta, in comunione con la mia Lina, la quale, quando io gliela leggevo, (e gliela lessi più volte) ogni volta si commuoveva.(U. Saba, Lettere a un amico vescovo, La locusta, Vicenza, 1980, pp.51-52

Silone: ”Nelle prove più tristi della vita ci salvammo appunto per aver conservato nell’anima il seme di qualche certezza incorruttibile. Durante il tempo dell’abiezione, esso è il nostro tormento segreto. Malgrado tutto, dunque resta qualcosa? Sì, vi sono certezze irriducibili. Queste certezze sono, nella mia coscienza, certezze cristiane. Esse mi appaiono talmente murate nella realtà umana da identificarsi con essa. Negarle significa disintegrare l’uomo”. (I. Silone, Uscita di sicurezza, Vallecchi, Firenze, 1965, 148)

Saremo anche minoranza ma la gente, anche quella lontana, talvolta più di quella vicina, prega, “grida” il suo anelito a Dio. Certo, se noi siamo solo gli uomini dell’organizzazione, dell’amministrazione, dell’attivismo, la gente sente che abbiamo perso il Mistero, ma siccome è proprio quello ciò che cercavano in noi, vanno via delusi.

 

Preghiamo

Volgi su di noi il tuo sguardo, Padre misericordioso,

e fa’ che superando ogni forma di egoismo

risplendiamo ai tuoi occhi per il desiderio di te.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Mercoledì 21 febbraio 2018

Spirito di gioia,

vieni e riempi la nostra vita:

sostieni il nostro desiderio di vivere una vita buona!

Sperimenteremo la gioia profonda

dei retti di cuore,

di chi cerca il bene,

di chi cammina nella vie del Signore

con cuore puro e sincero. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 6,1618)

E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

 

Riflessione: Il Digiuno vero non è rinuncia fine a se stessa

Prendo questo termine non solo nel suo significato stretto, ma nel senso più largo di “penitenza”. Vorrei subito dire che al termine latino “penitenza” corrisponde quello greco di “metanoia” che vuol dire sì conversione, ma più letteralmente si potrebbe tradurre “oltre la mente”, “oltre la ragione”, “oltre l’intelligenza”.

Mi sembra molto importante e illuminante questo significato di metanoia. La prima conversione consiste nell’andare oltre la ragione, oltre la mente, oltre le nostre povere misure umane razionali, andare cioè verso il Mistero, verso quell’Infinito che ci supera, ma del quale e per il quale siamo fatti e senza del quale la nostra ragione non approda a nulla, solo alla morte.

L’esigenza del Mistero, dell’Infinito, dell’Eterno infatti, è presente proprio nelle profondità della nostra ragione. La fede non è razionale, ma è certamente ragionevole. Rientra insomma proprio nella natura della ragione superare la ragione. Proprio nella ragione finita scopriamo le tracce dell’Infinito. Allora, come ci hanno insegnato S. Agostino, S. Anselmo e S. Tommaso, dobbiamo fare nostro il grande paradosso: non, capire per credere, ma credere per capire.

Questa è la grande rivelazione cristiana: proprio immergendoci nel Mistero, nell’”Oltre”, nell’”Altro”, si può comprendere la realtà che ci sta davanti. Se io, invece, pretendo prima di capire per poter poi credere, come sembrerebbe logico, non solo non crederò mai, ma addirittura non arriverò mai a capire la realtà perché essa sfugge e supera il metro della mia ragione.

La penitenza vera, la prima penitenza, intesa come cambiamento, sarebbe allora, come dice Benedetto XVI, dilatare gli spazi della ragione.

Sembrerà strano che per parlare di penitenza l’abbia presa così larga, ma io sono convinto che il senso cristiano della penitenza stia in questo atteggiamento e non in un atteggiamento autovessatorio, rinuncitario e masochista. La penitenza cristiana non è fine a se stessa. L’ideale cristiano non è lo star male, sia pure per amore di Dio. Non è che a Dio faccia piacere il nostro star male, altrimenti che Dio sarebbe?

A questo proposito è interessante un libretto intitolato “Gesù” del Cardinale Biffi. Qui l’autore smentisce, a suon di citazioni evangeliche precise, tanti luoghi comuni che vanno per la maggiore, che dipingono Gesù come uno straccione, un miserabile, quasi un emarginato o un reietto.

Il Cardinale Biffi, attenendosi rigorosamente ai testi evangelici, dimostra che intanto Gesù non era affatto di famiglia emarginata, Giuseppe era artigiano, non proprio un benestante, ma certamente non apparteneva alle classi sociali infime, aveva una sua dignità sociale; Gesù non vestiva male, ma anzi piuttosto bene, tant’è vero che i soldati dopo la crocifissione mentre si dividono le vesti, non si dividono la tunica, ma la tirano a sorte perché “era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo”(Gv 19, 23); non stava sempre e solo con i poveri, lo troviamo a tavola anche con i ricchi, con i benestanti, non disdegna le feste anche quelle matrimoniali (v. nozze di Cana); non rifiuta l’omaggio di “una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso” da parte di Maria che, come fa notare Giuda poteva essere venduto per trecento denari e il ricavato poteva essere dato ai poveri; non celebra la sua ultima cena pasquale in un tugurio, ma ricerca una sala ben addobbata con i tappeti; non disdegna nemmeno alcuni momenti di riposo: ”Venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po’”. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte”. (Mc 6, 31-32) E questo non deve essere stato un momento, un episodio eccezionale perché anche Giovanni, quando racconta l’arresto di Gesù, parla di un giardino, il Getsemani, che “anche Giuda, il traditore, conosceva perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli”. (Gv 18, 2)

Un ultimo particolare vorrei richiamare su questo punto. Gesù ha detto: Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Mt 5, 39) ma quando una delle guardie gli dette uno schiaffo, replicò con dignità e mitezza al tempo stesso:

”Se ho parlato male dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti”? (Gv 18, 23) In altre parole la penitenza che Gesù insegna non è masochismo, rinuncia fine a se stessa e non è nemmeno stoicismo etico.

Questo è importante perché una penitenza contro l’uomo, contro la sua dignità, contro il suo vero bene, allontanerebbe tanta gente, e giustamente, da un tipo di cristianesimo che non è cristiano.

 

Preghiamo                                    

Ricorda, Signore, il tuo amore e la tua bontà,

le tue misericordie che sono da sempre.

Non trionfino su di noi i nostri nemici;

libera il tuo popolo, Signore, da tutte le sue angosce.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Giovedì 22 febbraio 2018

Spirito del Signore,

sii sempre al nostro fianco,

giorno e notte sostieni il nostro cammino.

Non permettere che ci sentiamo soli,

ma fa’ che sperimentiamo sempre

la dolcezza della tua presenza

e della tua consolazione. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt  9, 14-15)

Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno.

” Perché mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano”?- Gesù risponde: ”Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno”.

 

Riflessione: Il vero digiuno

C’è un’espressione, molto bella nel Vangelo, che ci spiega secondo me qual è la vera e costruttiva penitenza. Ai discepoli di Giovanni che chiedono a Gesù perché i suoi discepoli non digiunano, Egli risponde che il vero digiuno è l’assenza dello Sposo. La vera penitenza è il sospiro verso lo Sposo, l’anelito verso di Lui, appunto quell’andare oltre il visibile per approdare finalmente a Lui.

Questa risposta di Gesù non ci dà soltanto il senso vero del digiuno, ma anche il vero senso dell’esistenza: noi siamo invitati alle nozze eterne, all’amore definitivo.

In Mt 9,16 Gesù continua dicendo che “ nessuno cuce un pezzo di panno nuovo su un abito vecchio, né si mette vino nuovo in otri vecchi”.

Non si può rattoppare la fede in Gesù (il nuovo) sul vecchio (la legge). In altre parole l’obbedienza formale alla legge è qualcosa di vecchio, di superato, il vero digiuno, il nuovo digiuno, la nuova penitenza è la mancanza dello Sposo, il desiderio incontenibile di Lui.

Per questo il problema non è il boccone in meno che mangi, ma quando fai penitenza “profumati il capo e lavati la faccia”, si direbbe: ”fatti bello”, cura la tua persona, il tuo aspetto, perché la penitenza non ti deve chiudere in te stesso, nella tua capacità di rinuncia, tanto meno nell’ostentazione della tua bravura spirituale che sarebbe l’esatto contrario della vera penitenza. La vera penitenza ti deve aprire a Cristo, ti deve liberare da te stesso, ti deve aiutare a uscire da te stesso, a incontrare lo Sposo.

Questo discorso sulla vera natura, sull’essenza della penitenza, è particolarmente importante perché ci sono due pericoli opposti ugualmente gravi. Da una parte persiste nell’immaginario collettivo l’idea di un cristianesimo fatto solo di “agere contra”, per fare un esempio, trattare il corpo esclusivamente come “fratello asino”.

Accanto a questo pericolo però ce n’è un altro, la posizione un po’ facilona secondo cui la penitenza è superata, “quello che ci va ci vuole”, per cui non ci facciamo mancare niente, neanche il superfluo, finendo così per perdere la nostra libertà dalle cose o dalle persone, che invece appartiene a Cristo.

La vera penitenza è l’attesa di Gesù, l’attesa dello Sposo. “Tenete fisso lo sguardo su Gesù”, (Eb 12,2) dice la lettera agli ebrei. La penitenza sta nel vigilare perché niente distolga il mio sguardo da Gesù, perché niente mi distragga dalla festa di nozze che mi attende, perché niente mi faccia dimenticare la meta verso cui sono diretto.

Dobbiamo desiderare la volontà di Dio che altro non è che la nostra salvezza e pienezza. Per realizzare questa volontà dobbiamo essere gelosi della nostra libertà perché il nostro cuore sia tutto di Cristo.

D’altra parte c’è un aspetto molto importante che non dobbiamo dimenticare a questo riguardo ed è questo: l’uomo non è fatto solo di spirito, ma anche di corpo e quindi è giusto che anche il corpo sia coinvolto in questo movimento verso Dio. Gesù ci dà una grande libertà dal formalismo, ci educa all’essenziale, ma non esclude la penitenza intesa proprio come coinvolgimento totale della persona. Del resto la massima riprova di questo è la sua croce dove la penitenza di Gesù ha coinvolto il suo corpo fino all’ultima goccia di sangue.

La penitenza vera è il superamento delle misure umane, dell’orizzonte terrestre per aprirci al Mistero, all’Infinito, all’Amore supremo che si dona a noi.

Si capisce allora perché Is 58,3 ss. sia così severo con chi digiuna con lo spirito sbagliato. “Ecco nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui” ecc. E’ bene leggerlo tutto questo brano specialmente dal v.6 in poi quando il Signore  descrive il vero digiuno: ”Sciogliere le catene inique, rimandare liberi gli oppressi, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, vestire chi è nudo” ecc.

Chi vive la vera penitenza cioè chi guarda oltre la misura terrena, come abbiamo detto, guarda il prossimo con lo stesso sguardo di Dio, è coinvolto nello stesso amore, questa è la penitenza cristiana.

 

Preghiamo                                    

Ispiraci, o Padre, pensieri e propositi santi,

e donaci il coraggio di attuarli,

e poiché non possiamo esistere senza di te,

fa’ che viviamo secondo la tua volontà.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Venerdì 23 febbraio 2018

Spirito della pace,

vieni in mezzo a noi:

guarisci tutte le divisioni, i rancori, le ferite

che sono nel nostro cuore

e che rendono faticoso il nostro cammino.

Non considerare le nostre colpe,

ma bagna ciò che è arido,

sana ciò che sanguina,

piega ciò che è rigido,

scalda ciò che è gelido. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1,14-15)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Riflessione: La penitenza come libertà del cuore

Già il profeta Gioele 2,12 ss. ci colpiva perché parlava del digiuno come di un tornare a Dio. “Or dunque ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti”, ma anche Gesù inizia il suo ministero annunciando la pienezza del tempo e invitando alla conversione e alla fede in Lui. La conclusione per noi è che il digiuno, cioè la penitenza, ha un unico scopo quello di liberarmi da me stesso per amare più liberamente il Signore e in Lui anche i fratelli. Il senso quindi della penitenza cristiana è un senso estremamente positivo. La penitenza è per un di più, non per un di meno.

Per questo ci è richiesta non tanto una rinuncia per la rinuncia, uno stoicismo fine a se stesso, ma uno stile di vita che favorisca il primato dell’amore verso Dio e verso gli uomini.

Per raggiungere questo obiettivo occorre un certo allenamento alla sobrietà. Io faccio un esempio: un ragazzo che fosse innamorato di una ragazza, ma al tempo stesso flirtasse con tutte le ragazze che gli capitano, è chiaro che, a parte ogni altra considerazione, non avrebbe neppure la possibilità di verificare l’amore per la sua ragazza che sarebbe continuamente disturbato e appannato da tutte queste interferenze. In realtà, quando un ragazzo è innamorato veramente di una ragazza  le altre non le vede nemmeno, non gli interessano e non pensa che rinuncia alle altre, al contrario, pensa e gode per la presenza di quella che lo riempie del tutto. Così avviene anche con Cristo. In questo senso dobbiamo essere vigilanti senza essere scrupolosi.

Se Cristo è il tutto della mia vita, io devo dare a Lui il primato assoluto in tutto e devo evitare tutto ciò che mi distrae da questo Amore assoluto, da tutto ciò che mi potrebbe appesantire e rendere meno libero. Devo vigilare perché niente mi faccia   ripiegare su ciò che è parziale e rinunciare al Tutto.

Per questo la penitenza è anelare a Cristo ed evitare tutti gli attaccamenti che potrebbero ostacolare questo anelito nel campo affettivo, nel campo dei beni, nel campo del successo personale e della affermazione di sé.

In conclusione mi pare si possa dire che la penitenza cristiana è un atteggiamento estremamente positivo di:

-apertura al Mistero

-desiderio di Cristo

-pentimento e ritorno a Dio

-amore dei fratelli per amore di Dio

-libertà da ciò che mi diminuisce per possedere il Tutto.

 

Preghiamo                                     

Come gli occhi dei servi

sono attenti ai cenni del padrone,

così i nostri occhi

sono rivolti al Signore, nostro Dio,

finché abbia pietà di noi.

Pietà di noi, Signore, pietà di noi.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Sabato 24 febbraio 2018

Spirito dell’amore,

vieni in noi e riempi di te le nostre vite:

riversa nei nostri cuori la fede, la speranza e la carità.

Con il tuo aiuto,

anche ciò che ci sembra più difficile sarà possibile

e l’amore per i nemici non ci sembrerà più un comandamento utopistico:

impareremo ad amare al modo di Gesù

e obbediremo al suo comando

di essere perfetti come è perfetto il Padre. Amen.

 

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 6,1-4)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

 

Riflessione: L’elemosina.

“Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti…quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra” (Mt 6, 2-3) Io, qui vorrei sottolineare l’elemosina come espressione di amore, meglio ancora di carità.

Prima di tutto, mi pare, Gesù ci mette in guardia dal profanare l’amore. Il grande pericolo è quello di rivestire con le apparenze dell’amore ciò che in realtà è il massimo egoismo, esercitare i gesti dell’amore in nome di un perfido e diabolico egoismo, strumentalizzare perfino l’amore per i propri meschini obiettivi. E’ la massima profanazione dell’amore e, oltre tutto, è anche il modo peggiore per ingannare se stessi.

Qui bisogna subito fermarsi e riflettere. Quante sono oggi le contraffazioni dell’amore! La parola “amore” è oggi la più ambigua, la più equivoca. Con questa parola si dice tutto e in realtà spesso non si dice più nulla. Addirittura questa parola viene spesso usata nel senso diametralmente opposto al suo vero significato.

In nome dell’amore si fanno scelte esattamente contrarie a quella che è la vera   natura dell’amore.

In nome dell’amore si usa la violenza, pensate a certe forme di pacifismo che sono l’esatto contrario della pace; in nome dell’amore si procura l’aborto, in nome dell’amore si promuove l’eutanasia, in nome dell’amore si sostengono le convivenze senza impegno, in nome dell’amore si difende il divorzio, ecc.  l’elenco potrebbe continuare.

Oggi c’è molta crisi in questo campo. L’uomo moderno sembra che non sappia più amare. Sembra che non creda più all’amore, tanto meno all’amore definitivo.

“C’è persino chi giunge a dubitare che l’amore sia possibile. Ma se carenze affettive o delusioni sentimentali possono far pensare che amare sia un’utopia, un sogno irraggiungibile, bisogna forse rassegnarsi? No! L’amore è possibile e scopo di questo mio messaggio è di contribuire a ravvivare in ciascuno di voi…la fiducia nell’amore vero, fedele e forte; un amore che genera pace e gioia; un amore che lega le persone facendole sentire libere nel reciproco rispetto”. (Messaggio di Benedetto XVI per la XXII GMG del 1 aprile 2008)

In realtà l’uomo è fatto per amare ed essere amato. Senza amore non si vive, non si è uomini. L’uomo è fatto naturalmente per uscire da sé e incontrare l’altro nell’amore.

Non per nulla l’uomo è fatto a immagine somiglianza di Dio che è appunto amore in se stesso.

 

Preghiamo                                    

La legge del Signore è perfetta e rinfranca il cuore;

la testimonianza del Signore è verace

e rende saggi i semplici.

Donaci, Signore, la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.