Sussidio di Quaresima 2018 – II Settimana di Quaresima

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II Settimana di Quaresima

Lunedì 26 febbraio 2018

Spirito santo,

sostieni il nostro desiderio

di vivere secondo la volontà del Signore.

Noi siamo incostanti:

sostienici nella fedeltà.

Noi siamo pieni di noi stessi:

donaci un cuore umile.

Noi siamo peccatori:

rivestici della tua misericordia e del tuo perdono. Amen.

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo  (1 Gv 4, 7-12)

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.

In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.

In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi.

 

Riflessione: L’amore più grande è la carità

L’amore vero è dono. Nella SS.ma Trinità lo Spirito Santo è il Dono per eccellenza.

La sorgente dell’amore vero è Dio, dice Benedetto XVI. “Lo pone bene in evidenza San Giovanni affermando che “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16); ora egli non vuole dire solo che Dio ci ama, ma che l’essere stesso di Dio è amore….in Dio, uno e trino, vi è un eterno scambio d’amore tra le persone del Padre e del Figlio e questo amore non è un’energia o un sentimento, ma una persona, è lo Spirito Santo”.

L’amore, anche quello umano, o è immagine e somiglianza di Dio, del Dio Trinitario, o è partecipazione di questo Amore divino, o se no è solo un “dare” per “prendere”, un dare egoistico.

Noi però, come cristiani, non parliamo solo di amore, ma di carità che è qualcosa di più. La carità è diversa dalla solidarietà, dall’amicizia, dalla filantropia ecc. La solidarietà da sola non risolve nulla alla fin fine.

La carità invece è donare, trasmettere il Mistero, la Presenza, la Salvezza di Cristo attraverso magari piccoli segni. Questo è efficace. Io posso darti anche milioni di euro, ma ti lascio sempre nel tuo bisogno ultimo, senza risposta. La carità si ha quando il mio amore, il mio dono è segno efficace dell’amore, del dono di Dio stesso, di Cristo risorto.

C’è un abisso fra l’amore umano e la carità cristiana. L’amore umano diventa carità  quando diventa sacramento, quando cioè è il segno efficace dell’amore infinito, infallibile di Cristo, non quando è il mio piccolo sentimento, pur buono o generoso. Per questo è grande Madre Tersa di Calcutta, non per le migliaia, fossero pure milioni, di bisognosi che ha aiutato, curato e assistito, ma per il fatto che il suo amore, la sua carità era il segno di un amore infallibilmente efficace, quello di Cristo, efficace anche contro la morte.

Bisogna stare attenti perché se non capiamo questo noi saremo sempre degli attivisti e degli attivisti frustrati. Se la mia opera, il mio amore, la mia salvezza non è il segno dell’opera, dell’amore, della salvezza di Cristo cosa volete che producano? Avranno la forza, l’effetto, il risultato di un’opera umana, buona quanto volete, ma limitata.

Tutto il mio attivismo rischia di essere frustrante anche con le migliori intenzioni. Perché quelle opere saranno il segno della mia bontà, della mia intelligenza, della mia creatività, delle mie capacità, ma tutto lì.

Io da me sono impotente, ma se il mio amore è il segno dell’amore di Cristo allora io divento, in un certo senso, potente della sua Potenza, potrei dire onnipotente; io, tramite la mia povera e limitata umanità, ti posso trasmettere la Potenza del Risorto, questa è la carità. Non è il mio povero piccolo amore, ma l’amore infinito e assoluto di Uno infinitamente più grande di me che agisce in me e tramite me.

Questa è la novità portata da Gesù. Il mio amore rende presente l’amore di Cristo, un amore divino e quindi partecipa della sua divina efficacia.

 

Preghiamo

È veramente giusto renderti grazie,

è bello cantare la tua gloria,

Padre Santo,

Dio onnipotente ed eterno.

Tu hai stabilito per i tuoi figli

un tempo di rinnovamento spirituale,

perché si convertano a te con tutto il cuore.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Martedì 27 febbraio 2018

Spirito di Dio,

tu sei luce che illumina ogni oscurità anche la più profonda.

Illumina il nostro sguardo interiore,

la nostra capacità di riconoscere il bene.

Suscita e sostieni il nostro desiderio sincero

di cercare sempre e solo il bene,

di fare il bene riconosciuto

e di evitare il male con tutte le nostre forze.

Sia la ricerca e il desiderio di fare il bene

la guida di tutte le nostre scelte,

quelle importanti e quelle semplici di tutti i giorni. Amen.

 

Dalla prima lettera ai Corinti

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo! (1 Cor 7, 29-31)

 

Riflessione: La verginità profezia dell’amore futuro

Quello che abbiamo detto finora sull’amore, sulla carità vale per tutti i cristiani, ma a maggior ragione per noi consacrati.

Anche noi siamo chiamati ad amare, anche noi abbiamo bisogno di amare e di essere amati. Anche noi abbiamo una vocazione, per così dire, matrimoniale, non solo perché tale vocazione appartiene a tutti gli uomini in quanto tali, ma anche sul piano vocazionale. Proprio per la nostra vocazione siamo chiamati a vivere la dimensione sponsale nei confronti della Chiesa e la dimensione della paternità o maternità nei confronti dei fratelli.

Qualcuno pensa che noi siamo senza cuore, aridi, freddi, insensibili.

Stiamo attenti, perché una nostra rigorosa osservanza della castità qualora fosse a spese dell’amore vero e magari compensata dalla “carriera”, dall’affermazione di sé, dall’orgoglio, sarebbe una ben triste castità, dato e non concesso che si possa mantenere la castità con queste premesse e in questo contesto.

Il n.16 della “Presbyterorum ordinis” è molto forte a questo riguardo.

“Con la verginità o il celibato osservato per il Regno dei cieli, i Presbiteri si consacrano a Dio con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a Lui con cuore indiviso, si dedicano più liberamente in Lui e per Lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo Regno e la sua opera di rigenerazione divina, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo. …Essi inoltre diventano segno vivente di quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio”.

Il decreto “Optatam totius” sulla formazione sacerdotale al n. 10 parla della formazione dei futuri presbiteri a questo amore maturo e indiviso nella scelta del celibato per il Regno.

E dice: ”Gli alunni abbiano una conveniente conoscenza dei doveri e della dignità del matrimonio cristiano che rappresenta l’unione di Cristo con la Chiesa; ma sappiano comprendere la superiorità della verginità consacrata a Cristo in modo da fare a Dio la donazione completa del corpo e dell’anima, per mezzo di una scelta operata con matura deliberazione e magnanimità”.

Di queste due citazioni del Concilio vorrei sottolineare in modo particolare i seguenti aspetti: il cuore indiviso, quel mondo futuro del quale l’amore consacrato è segno, quella più ampia paternità in Cristo. Quello che si dice del sacerdote vale, mi pare, anche per tutte le altre persone consacrate.

Non siamo semplicemente dei “celibi”, dei “single” come si dice oggi, gente che non si sposa, incapaci di matrimonio. Questo sarebbe una tragedia. Direi che avere la vocazione sacerdotale o religiosa vuol dire avere una vocazione sponsale, anche se, evidentemente, si tratta di vivere questa fondamentale, essenziale vocazione nella specificità e positività dell’amore consacrato.

Anche il prete, o la religiosa, come tutti gli uomini, se vogliono vivere la loro umanità, devono uscire da se stessi, devono vivere la loro complementarietà, la  loro relatività. Non esiste l’uomo intero, l’uomo è uomo a metà, o è maschio o è femmina. Questo vuol dire che ogni essere umano è relativo e ha bisogno dell’altro per completarsi. Normalmente l’uomo si completa nel rapporto amoroso con la donna e viceversa. Come, dove noi viviamo la nostra complementarietà, la nostra relatività? Con chi ci completiamo, dove troviamo la nostra pienezza umana, affettiva e spirituale? Come viviamo la nostra sponsalità insomma?

  1. Paolo parla di “cuore indiviso”. Cuore indiviso vuol dire cuore intero, un cuore tutto per il Signore, un amore totale. Ecco, noi siamo chiamati a un amore totale, senza mezze misure, siamo chiamati a vivere “secondo il tutto”, a essere “cattolici” non solo in senso sociologico, ma in senso esistenziale. Siamo gli uomini o le donne del Tutto, non dovremmo sopportare il frammento, dovremmo essere testimoni di Colui che è il Tutto. Siamo il segno dell’umanità che non si accontenta, che vuole tutto. Ecco la nostra complementarietà. Siamo complementari a Cristo, il vero Tutto, l’unico Tutto. Dobbiamo ritrovare il nostro modello in Cristo, Sposo della Chiesa.

C’è un momento nel Vangelo in cui l’immagine di Cristo Sposo è particolarmente efficace e commovente ed è quello di Cristo in croce, quando, trafitto dalla lancia del soldato, sgorgano dal suo fianco sangue ed acqua.

I Padri della Chiesa dicono che sulla croce Cristo è il nuovo Adamo, lo Sposo, da cui, mentre dorme il sonno della morte, viene tratta la Chiesa, la nuova Eva, la sposa, simboleggiata dai sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia. Ecco la nostra vocazione sponsale. Siamo fatti per  essere assimilati a Cristo, siamo fatti per identificarci con Lui, per diventare una cosa sola con Lui e così diventare una cosa sola con la Chiesa e generare il Corpo di Cristo attraverso la Parola e i sacramenti.

In questo modo annunziamo con la nostra vita il mondo futuro, la risurrezione della carne. In questo modo diventiamo veramente padri e madri perché trasmettiamo la vita, ma la vita vera, quella che non passa, quella che non illude e non delude, la vita più forte della morte. In questo senso la nostra paternità o maternità, se vissute veramente in tutta la loro profondità, sono più vere di quella fisica come l’esperienza dolorosa di tutti i giorni purtroppo dimostra quando quella fisica non si accompagna  a quella dello spirito.

 

Preghiamo                                                                                               

Annunzierò tutte le tue meraviglie.

In te gioisco ed esulto,

canto inni al tuo nome, o Altissimo.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Mercoledì 28 febbraio 2018

Vieni in noi, Spirito Santo,

Spirito dell’amore:

riversa sempre più

la carità nei nostri cuori.

Aiutaci a crescere ogni giorno nel servizio reciproco.

Fa’ che sperimentiamo come è bello e come è dolce

servire i fratelli.

Fa’ che riconosciamo in ogni uomo e ogni donna

i tratti della tua immagine

che niente e nessuno potrà mai cancellare.  Amen.

 

Dalla prima lettera ai Corinti

La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo… Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.
Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità! ( 1 Cor 13, 4-13)

 

Riflessione: Per un amore definitivo

Molti dicono che oggi i giovani sono fragili e incapaci di prendere decisioni definitive, che non crescono mai, che sono eterni adolescenti, che preferiscono stare con i genitori fino a quarant’anni, che non sanno prendersi le loro responsabilità ecc.

D’altra parte se non siamo capaci di un amore definitivo io direi che non siamo capaci di amare, semplicemente. La categoria del definitivo è una categoria essenziale all’amore. L’amore o è definitivo o non è amore. Un amore che si qualificasse coscientemente come provvisorio non sarebbe più amore. Se fate attenzione alla liturgia del matrimonio, per esempio, voi vedete che le parole che identificano il consenso matrimoniale sono la parola “sempre” e la parola “tutto”.

Abbiamo bisogno di sacerdoti che siano veramente padri.  Il problema forse di oggi è che la figura del padre non è messa a fuoco quanto sarebbe necessario. Allora forse dobbiamo metterci in questione particolarmente, noi preti o religiosi: siamo capaci di paternità o di maternità vere?

Mi pare che sia nella logica della vita che il figlio metta i piedi sui passi del padre e così si senta rassicurato, protetto e sostenuto e pian piano diventi capace di camminare autonomamente sulle sue gambe. Se il figlio, ignaro della vita, deve aprirsi la strada da sé non sa dove mettere i piedi e quindi è preso dall’angoscia.

Se ricuperiamo la figura del padre ricuperiamo anche la sicurezza e il coraggio del definitivo.

Per vivere questa sponsalità e paternità io credo che si debba riscoprire in particolare la grandezza, la meraviglia, la bellezza del mistero della Chiesa.

Essa è un miracolo continuo, essa è la carne di Cristo, è la visibilità del Mistero.

Incontrare la carne della Chiesa vuol dire toccare il Mistero della Presenza di Cristo nella storia. Allora la cosa più importante e più vitale per noi è fare Chiesa, è costruire la comunione ecclesiale perché quella è il sacramento efficace della presenza di Cristo fra noi. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome là ci sarò io”!

E’ indispensabile esercitarsi in questa carità che non vuol dire tanto sopportazione, pazienza, misericordia reciproca ecc. Certo anche questo, ma vuol dire molto di più. E’ la nostra vita di fraternità che è un miracolo, un segno grande. Qui non si tratta di cameratismo e neppure di semplice amicizia, si tratta di riconoscere il Mistero che è presente fra noi e fa di noi, nonostante le nostre diversità e difficoltà, una cosa sola, un sacramento, un segno della sua Presenza, della sua Novità e della sua salvezza. Non possiamo ridurre il Mistero della carità a galateo o semplicemente ad andare d’accordo. E’ tutt’un’altra cosa. Siamo, non di rado, ingessati nel nostro ruolo, nei nostri impegni, nel nostro attivismo, qualche volta sfrenato, e finiamo per perdere di vista il più. La conseguenza spesso è che non condividiamo il Mistero, non siamo capaci di mettere insieme le nostre esperienze spirituali, profonde. Abbiamo quasi pudore a parlare di Gesù fra noi e così il rapporto fra noi non produce il Mistero, ma produce solo banalità. L’alternativa a questo è allora condividere le attività, le esperienza operative. Tutto bello e tutto buono, ma non è questo il punto qualificante del Mistero che noi siamo.

Un grande educatore tanti anni fa diceva: “La regola produce il Mistero”. Si riferiva alla Liturgia. Nella celebrazione eucaristica la parte centrale, quella fissa che non cambia, detta appunto Canone, che vuol dire regola, è la parte della Liturgia che produce il Mistero, il Mistero della presenza Eucaristica di Cristo sull’altare. Naturalmente questo riferimento liturgico diventava nella sua pedagogia criterio di vita vissuta.

Se volete dunque rendere presente il Mistero dovete dare alla vostra vita la regola della carità, assimilare quella regola di vita che è la Chiesa stessa. Non possiamo essere semplicemente un gruppo di persone che vivono insieme, che fanno alcune cose insieme, che hanno alcuni obiettivi comuni. Siamo Chiesa, siamo un mistero di comunione. Per questo la comunità è un luogo importantissimo. E’ un luogo privilegiato per fare esperienza di Chiesa, esperienza di carità, esperienza di quella regola di vita che produce nella nostra esistenza il Miracolo, cioè il Mistero di Cristo presente e operante.

 

Preghiamo                                    

Non abbandonarmi, Signore mio Dio,

da me non stare lontano;

vieni presto in mio aiuto,

Signore, mia salvezza.

Donami la sapienza del cuore

e custodiscimi nel tuo amore. Amen.

 

Giovedì 1 Marzo 2028

Quanto sei buono con noi,

Spirito di Dio!

Sii per sempre lodato e benedetto

per il tuo amore e per tutti i doni che effondi su di noi.

Alla tua presenza sto,

di te mi nutro,

in te respiro:

fa’ che il mio cuore batta al ritmo dell’amore,

generoso

solidale

pronto alla condivisione. Amen.

 

Dal libro della Gènesi  (Gen 9,8-15)

Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra».

Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne». 

 

Riflessione: Il mio arco pongo sulle nubi

L’immagine che spesso abbiamo della Quaresima è quella di un periodo negativo in cui dominerebbe il pensiero opprimente del peccato e della morte che il cristiano dovrebbe vincere con l’opera ancor più angosciante della penitenza e della rinuncia.

E’ vero, il tema del peccato è presente nella Quaresima , ma è un tema che contiene una sorpresa, ci apre a una scoperta incredibile e inimmaginabile.

La Liturgia riesce a farci riscoprire il peccato come occasione per la manifestazione della tenerezza di Dio e come rivelazione della grandezza dell’uomo.

Il diluvio universale, per esempio, non è altro che una parabola, un mito estremamente eloquente per dirci che l’uomo col suo peccato riporta il caos nel mondo.

Con la creazione Dio aveva messo ordine fra le acque sopra il firmamento e le acque sotto il firmamento. Il diluvio rappresenta il ritorno al caos iniziale e quindi l’annullamento dell’opera creatrice di Dio.

Pensate com’è attuale questa affermazione. Quante volte anche oggi, l’uomo sperimenta in sé e fuori di sé il caos, il disordine, la morte! Egli, spesso, non si fida di quell’ordine che lo precede e lo trascende, pretende di essere Assoluto, “dissoluto”, sciolto cioè da qualsiasi legame, e quindi Dio di se stesso.

Il Diluvio, dunque, è un simbolo importante, decisivo e terribilmente attuale.

Secondo la concezione mitica diffusa nel medio oriente, il mondo aveva avuto origine da un caos di acque. Anche nel mito babilonese, di cui risente anche il racconto della Genesi, si parla di Tiamat, la dea delle acque.

La creazione dunque viene concepita come un intervento di Dio che mette ordine nel caos primordiale, per rendere possibile la vita dell’uomo.

Il peccato, la ribellione della creatura al suo Creatore ha riportato il mondo al caos primordiale, ha annullato, vanificato l’opera creatrice di Dio.

Il caos vuol dire distruzione e morte.

L’uomo che non si riconosce creatura del Creatore, figlio del Padre si autodistrugge, rende impossibile la vita sulla terra.

Come è attuale questa lezione! Quante volte l’uomo contemporaneo nel suo delirio di onnipotenza,  l’uomo che non accetta di essere creatura, di essere figlio, sperimenta l’autodistruzione, la propria morte!

Quante volte le scoperte scientifiche abbandonate a se stesse si rivelano un tragico boomerang per l’uomo di oggi!

Di fronte a questa tragedia qual è l’atteggiamento di Dio?

La cosa bella e sorprendente è che il racconto del Diluvio, dopo averci mostrato la gravità della catastrofe che il peccato porta con sé, la distruzione, la morte (pensate all’angoscia, alla disperazione oggi così diffuse, pensate al disprezzo della vita, sembra che la vita non valga più nulla…) ci presenta il Signore Dio che rinnova tale e quale la sua prima alleanza con Noè e i suoi discendenti.

Addirittura lancia il suo arco nel cielo. Quando l’umanità vedrà l’arco nel cielo, si ricorderà del suo Dio che ha deposto l’arco, che non farà più alcun male all’uomo e non perché questi abbia capito, anzi è malvagio fin dall’inizio, dice il testo biblico, ma unicamente perché Dio è buono, gratuito e misericordioso.

“Quanto a me io stabilisco la mia alleanza con voi”. Non si stanca il nostro Dio, nemmeno di fronte alla devastazione operata dal nostro peccato.

Dio perdona, Dio fa pace non perché l’uomo abbia capito la gravità del male compiuto, ma perché Lui, il Signore, è misericordioso e gratuito.

 

Preghiamo                                    

Scrutami, o Dio, e conosci il mio cuore;

vedi se percorro una via di menzogna,

e guidami sulla via della vita.

Donami la sapienza del cuore

e custodiscimi nel tuo amore. Amen.

 

Venerdì 2 marzo 2018

Vieni, Spirito santo,

ti affidiamo la nostra vita:

aiutaci a crescere a immagine di Cristo,

l’uomo perfetto a immagine del quale siamo stati creati:

porta a compimento la tua opera in noi,

rendi la nostra somiglianza sempre più perfetta,

trasformaci giorno dopo giorno in te. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1,12-15)

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

 

Riflessione: Le tentazioni di Gesù

Il Vangelo offre una risposta ancora più completa alla tragedia umana adombrata nel simbolo del diluvio. Questa risposta è Gesù stesso.

Gesù, uscito dalle acque del Giordano dove è stato battezzato e riempito di Spirito Santo, è dal medesimo Spirito sospinto nel deserto.

Egli ripercorre simbolicamente l’itinerario di Israele: dalle acque del Mar Rosso al deserto; così anche Gesù dalle acque del Giordano viene condotto nel deserto. Qui Israele è stato fortemente tentato, anche Gesù nel deserto viene tentato tre volte. Con una grossa differenza: mentre Israele soccombe spesso alla tentazione, Gesù non soccombe affatto, ma vince ogni tentazione.

Dove Israele ha sperimentato la ribellione e quindi il caos, la distruzione e la morte, Gesù ha indicato la chiave dell’armonia, della ricostruzione e della vita. Questa chiave è l’obbedienza di Figlio.

Facendo la volontà del Padre, Gesù vince Satana, il Diavolo, colui che divide, e quindi anche il caos e la morte.

Infatti “stava con le fiere”. Realizzazione della profezia di Isaia: “Il lupo abiterà insieme all’agnello e la pantera giacerà insieme con il capretto; il vitello e il leone pascoleranno insieme”.

E’ la pace messianica, è il contrario del caos mortale prodotto dal peccato, è l’armonia perfetta.

Anche l’espressione “E gli angeli lo servivano”, è il segno della ritrovata armonia fra terra e cielo. Anzi con Lui il cielo è sceso sulla terra. Gesù riunisce dunque Dio e l’uomo, il visibile e l’Invisibile, è il segno chiaro della vicinanza del Padre,  la realizzazione della vera pace.

Questo Gesù, vincitore di Satana, Principe della pace, segno del cielo disceso sulla terra, si reca, significativamente, non a Gerusalemme, la città santa, ma nella Galilea delle genti, in una zona cioè di confine, frequentata dai gentili, dai “peccatori” e lì comincia ad annunziare il Vangelo.

Dice S. Girolamo:” Galilea nella nostra lingua traduce il greco “katakulisté” (rotolare giù). Perché prima dell’avvento del Salvatore non vi era in quella regione niente di elevato, ma anzi ogni cosa precipitava in basso: dilagava la lussuria, l’abiezione, l’impudicizia e gli uomini erano preda  dei vizi e dei piaceri bestiali”. (S. Girolamo, Comment. in Marc., 1-2)

Proprio in questa terra, la terra di Galilea, la terra “rotolata giù”,  Gesù inizia la “elevazione” del mondo. Proprio lì Egli annunzia che il tempo ha raggiunto la sua pienezza, il suo completamento, il suo fine, la sua meta perché il Regno di Dio si è manifestato. “Il tempo è compiuto”. Il tempo non è un caotico, assurdo ammassarsi di giorni, esso ha un compimento, una meta, un traguardo, un punto omega.

Il regno di Dio è vicino; il Mistero si è fatto prossimo, accessibile, visibile in qualche modo.

Per questo, “convertitevi”! Cambiate mente, rivoltatevi, cambiate direzione, non guardate più a voi stessi, altrimenti ripiombereste nel caos mortale; credete al vangelo, consegnatevi alla buona, bella novità e cioè che la realtà, il mondo non è caos mortale, ma armonia e vita. Andate oltre la vostra (piccola) mente. Quanto benessere, gioia, pace ci sarebbero se andassimo oltre la nostra piccola “ragione”! Credete al lieto annuncio di Gesù morto e risorto, a questo annuncio che va oltre la vostra piccola mente, la vostra piccola misura e sarete anche voi vincitori di Satana e della morte.

 

Preghiamo                                                

Dio onnipotente e misericordioso,

concedi ai tuoi fedeli

di essere intimamente purificati

dall’impegno penitenziale della Quaresima,

per giungere con spirito nuovo

alle prossime feste di Pasqua.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Sabato 3 marzo 2018

Spirito del Signore,

sostieni e guida il nostro cammino di conversione.

Fa’ che anche noi decidiamo di alzarci,

di metterci in cammino,

di tornare al Padre,

di rivolgere tutta la nostra vita a Dio,

solo buono e misericordioso.

Sperimenteremo la bellezza del perdono,

la forza della riconciliazione,

la gioia di chi si sente amato di un amore fedele, senza misura. Amen.

 

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 4, 1-11)

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».

Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».

Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

 

Riflessione: Ebbe fame il Pane

“Non morirete affatto! Anzi, diventerete come Dio conoscendo il bene e il male”.

La voce del serpente si insinua incrociando quello che è un vero bisogno dell’uomo: il desiderio di essere come Dio, immortali, il desiderio di essere tutto. Di per sé questo non è un male, anzi corrisponde alla natura dell’uomo.

E’ un desiderio essenziale e costitutivo di ognuno di noi. L’uomo è uomo proprio in quanto ha questo desiderio di infinito e di immortalità, altrimenti sarebbe un animale o solo un oggetto, una cosa.

  1. Agostino interpreta bene la grandezza dell’essere umano quando dice: “Ci hai fatti per te o Signore e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”. (Le Confessioni, 1,1.1)

Del resto anche il salmo recita: “Che è l’uomo perché ti ricordi di lui? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato”. (Sal 8,5-6)

Io mi auguro che tutti coltiviamo questo obiettivo.

Ma quale strada prendere per raggiungerlo, quella di Adamo ed Eva o quella di Gesù? La disobbedienza o l’obbedienza?

E’ importante anche la meditazione sul tema del peccato. Forse troppe volte oggi viene trascurata. Chi non ha il senso del peccato non ha nemmeno il senso di Dio. Non è vero affatto che la meditazione sul peccato riguarda un tema negativo, un tema che dà tristezza o oppressione, tutt’altro!

Meditare sul peccato vuol dire meditare, in contro-luce, sul mistero della nostra grandezza.

Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Polvere…vivente!!! E’ il senso del miracolo, Dio che fa parlare, respirare, vivere un po’ di polvere! E’ la meraviglia stupita e ammirata dell’autore biblico di fronte al miracolo dell’uomo, povero, miserabile, finito e al tempo stesso ricco, splendido, infinito. Dio lo rende partecipe delle sue delizie, del suo paradiso, ma egli, infatuato della sua grandezza, cede alla tentazione del serpente. Adamo ed Eva pretendono di essere padroni, arbitri del bene e del male, padroni della vita tutta. Cercano la vita dove è la morte. E dov’è la morte? Nell’autonomia, nell’autosufficienza.

Quando l’uomo, che è polvere, creatura, pretende di essere Creatore, Assoluto, Infinito, Arbitro, sprofonda nella morte, sperimenta la propria distruzione. Dio aveva detto ad Adamo:” Quando tu ne mangiassi (dell’albero della conoscenza del bene e del male), certamente moriresti”. Il diavolo aveva insinuato:” Non morirete affatto”!

La grande questione è proprio questa: la vita e la morte. Dove la vita? Dove la morte?

Il mondo anche oggi chiama Vita la morte e morte la vita. L’inganno continua! Quante volte scegliamo la morte ritenendo che sia la forma più affascinante di vita e ci ritroviamo abbracciati stretti stretti alla morte!

“Se tu non uccidi l’iniquità, l’iniquità ucciderà te” diceva S. Agostino.

Vogliamo essere noi che “fondiamo” il bene e il male. E’ la tentazione di non volerci riconoscere creature. Tentazione estremamente attuale: sostituirsi a Dio.

“Io sono mio”, “Io decido tutto”: il bene e il male, la vita e la morte, il giusto e l’ingiusto.

Se c’è una cosa evidente è che io non sono mio, che non decido nulla delle cose ultime della vita. Non decido di nascere, di morire, quando nascere, quando morire.

Dio è sentito come un’oppressione. Sbarazziamocene! Ma non avere nessuno sopra di noi non è poi quella libertà che pensavamo.

Gesù ancora una volta, in questa quaresima, ci indica la strada della vita vera, della vittoria sul peccato e sulla morte.

La strada per diventare come Dio è quella che ci indica Gesù nel Vangelo.

Gesù ha fame… ma “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

L’uomo ha fame, ma non solo di pane, bensì di Senso, di Verità, di Bellezza, di Eternità, di Infinito, di Dio. E’ Lui solo che sazia la fame dell’uomo.

Gesù viene tentato di “correggere” il disegno del Padre: messianismo glorioso, non doloroso, vittorioso, clamoroso, sorprendente. Gli viene proposto un percorso più facile e più redditizio, maggiore resa con minore spesa, meno sacrificio e più successo!

Gesù non accetta di tentare Dio, di pretendere da Lui il miracolo, ma accetta di portare a compimento il doloroso e misterioso disegno del Padre attraverso il sacrificio della croce. E’ attraverso l’amore che l’uomo “diventa Dio”(!), non attraverso l’affermazione di sé. Come ultima tentazione il diavolo gli propone di sacrificare la verità al Potere, vendersi a Satana, al principe della menzogna, per un po’ di potere  terreno, comprare il potere mondano a costo di adorare la menzogna.

Quante volte adoriamo il diavolo, il male, la divisione, la menzogna! Come ci prostriamo! Quante volte chiamiamo Dio ciò che non è Dio, ciò che è un’amara caricatura di Dio, nel piacere, nel potere, nel successo!

Gesù ci dice solennemente: “Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto”!

Non ti piegare di fronte a nessuno, non prostrarti mai, piegati soltanto davanti al tuo Dio. Che libertà, che dignità!

Meditando sul peccato ricuperiamo la nostra grandezza, la nostra dignità, libertà,  la vocazione alla vita eterna.

Chi è più simile a Dio, l’uomo Gesù che adorando unicamente il Padre non si piega di fronte a nessun potere o l’uomo che per un po’ di potere si piega, si inginocchia davanti ai vari idoli del momento?

“Adora il Signore Dio tuo, a Lui solo rendi culto”!

La disobbedienza è la strada che porta alla distruzione di sé. Lo dimostra, nel caso di Adamo ed Eva, la vergogna di essere nudi, segno della perduta armonia fra anima e corpo, la paura di Dio, la divisione che nasce fra loro in seguito al peccato

L’obbedienza è la strada che porta alla pienezza, all’amore, alla vita, alla libertà, alla dignità, alla signoria sul mondo intero.

La disobbedienza è degli schiavi, l’obbedienza è dei figli.

Dice S. Agostino: “Ebbe fame il Pane, come pure fu allo stremo delle forze la Via, come pure fu ferita la Salute, come pure si spense la Vita”. (S. Agostino, Discorsi, Ed. Città Nuova vol. XXXI, 1 n.123, n. 2)

Il Pane ebbe fame, la Via si fece debolezza, la Salute si fece malattia, la Vita si fece morte perché noi potessimo diventare come Dio!

Fuori di questo disegno, di questa obbedienza l’uomo pretende di saziarsi da sé, di camminare da sé, di salvarsi da sé, di vivere da sé e di sé, ma sperimenta solo l’impotenza e la disperazione.

 

Preghiamo                                    

Paziente e misericordioso è il Signore,

lento all’ira e ricco di grazia.

Buono è il Signore per tutti,

e la sua misericordia

si estende a tutte le sue creature.

Il Signore ci doni la sapienza del cuore

e ci custodisca nel suo amore. Amen.