I SETTIMANA di Avvento – VENERDÌ 4 DICEMBRE 2015

Matteo 9, 27-31

Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguirono gridando: “Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”. Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: “Credete che io possa fare questo?”. Gli risposero: “Sì, o Signore!”. Allora toccò loro gli occhi e disse: “Avvenga per voi secondo la vostra fede”. E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: “Badate che nessuno lo sappia!”. Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.

Meditazione

“Due ciechi lo seguirono gridando…”. Cosa significa essere ciechi o perdere la vista progressivamente? Mi viene in mente la piccola Miriam di nove anni, ospite della nostra Caritas diocesana, che a causa di un tumore ha perso la vista. Durante la malattia ha espresso il desiderio di prepararsi alla prima comunione, circondata dall’affetto di tutti i seminaristi. Oppure mi ricordo di Elena, giovane studentessa che, mentre frequentava le lezioni di psicologia all’Università, ha perso la vista: nonostante tutto ha terminato gli studi ed oggi sta intraprendendo la professione di psicologa parallelamente ad un percorso di vita religiosa. Da parte sua don Salvatore, sacerdote della nostra diocesi, ha perso la vista ed ha riscoperto una nuova vocazione al sacerdozio, dedicandosi all’ascolto, alla confessione e all’attività di confessore in seminario. Mi ricordo anche un gioco che facevo spesso da bambino: moscacieca. Con gli occhi bendati qualcuno mi faceva fare un paio di giri intorno a me stesso e poi mi abbandonava. Assolutamente cieco, perdevo qualunque orientamento. Mi sentivo mancare il terreno sotto i piedi. Ma, nel momento più difficile, una mano amica mi toccava e mi dava sicurezza. C’è anche la cecità dell’anima: ogni volta che nella vita facciamo un’esperienza difficile, è come se un velo sottile fosse steso sui nostri occhi. Ad ogni dolore un velo; ad ogni velo sempre più buio. I nostri occhi naturali continuano a vedere, ma i nostri occhi interiori non vedono più. Allora ci chiediamo: qual è il senso della nostra vita? Ognuno di noi deve amare e essere amato per trovare il senso della propria esistenza. Ma non sempre si è amati o si riesce ad amare e allora si diventa ciechi per mancanza di amore, finché un incontro a volte casuale ci permette di rivedere i colori della vita.

“Allora (Gesù) toccò loro gli occhi…”. In un passo evangelico si legge che Gesù mise ad un cieco un po’ di saliva negli occhi e gli impose le mani. Lo toccò: la vita è contatto, un semplice contatto che ricrea la vita. A questo proposito mi viene in mente che nella Cappella Sistina Michelangelo ha messo in evidenza il potere del contatto che crea la vita: mi riferisco al dito di Dio che dà la vita ad Adamo.

In questo inizio di Avvento riscopriamo allora la bellezza della forza ricreatrice del contatto con il nostro Signore: rimaniamo alla sua presenza. Prendiamoci piccoli momenti di scambio reciproco, di dialogo, per riscoprire la presenza di un amico. Riscopriamo la bellezza della Santa Eucaristia. Riscopriamo anche il valore e la bellezza dei rapporti umani, fondati sulla stima reciproca, la comprensione, il sostegno reciproco nei momenti belli e difficili della quotidianità. Questo esercizio visivo ci permetterà di vedere il mondo nella luce giusta: la luce di Dio.

Spunti di riflessione

Crediamo intensamente che Gesù possa aprire i nostri occhi a una fede più autentica scoprendo nuovamente con stupore la gioia di viverla pienamente come i ciechi che rivedono nuovamente il mondo che gli circonda. In che modo mi raggiunge il dito di Dio?