Sussidio di Quaresima 2018 – III Settimana di Quaresima

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III Settimana di Quaresima

Lunedì 5 marzo 2018

Spirito del Signore,

acqua viva che lavi, purifichi, rigeneri a vita nuova,

purifica il nostro sguardo,

rinnova i nostri desideri,

guarisci le nostre ferite e i nostri dolori, grandi o piccoli che siano:

abbiamo bisogno della tua consolazione

del tuo sostegno

della tua pace.

Il nostro cuore esulta per la salvezza

e canta la tua opera in noi.

Lode a te, Spirito santo!

 

Dal libro della Genesi (Gen 12, 1-4)

Il Signore disse ad Abram:
«Vattene dalla tua terra,
dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.
Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran
.

Riflessione: Sete di eternità

“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e sopra tutto, dalla casa di tuo padre”.

Abramo deve lasciare la sua terra, ma non sa nemmeno dove deve andare. Il Signore gli dice soltanto: “Verso il paese che io ti indicherò”! Verso il nuovo, verso un di più.

Abramo è occupato nelle sue ricchezze e nei suoi “affari”. E’ ancora pagano, adora gli idoli come tutti gli altri. Ma Dio si rivela ad Abramo e gli chiede di tagliare col “vecchio” e di entrare nel “nuovo”. Abramo deve abbandonare ciò che già conosce e aprirsi, affidarsi al Mistero, a Dio che gli parla.

Questa verità è particolarmente evidente nell’esperienza di Paolo. Anch’egli  fa l’esperienza di lasciare la sua patria, la sua casa, le sue sicurezze umane, l’esperienza della prigionia a Roma, probabilmente per la seconda volta  e si è affidato al Mistero. Nella prigionia è vecchio, sofferente, consapevole che la condanna è vicina, tutti lo hanno abbandonato, ma si affida al Mistero. “Egli ci ha chiamati con una vocazione santa”. La nostra vita è una vocazione, la chiamata di Un Altro, non un progetto nostro. La nostra salvezza non è frutto delle nostre opere, ma della sua Grazia, del suo Amore gratuito rivelatosi in Cristo Gesù, il quale ci ha aperto alla Novità  Assoluta: ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo. E’ interessante quello che afferma M. De Unamuno.

“Perché l’uomo, atomo miserabile, può credere nel suo orgoglio insensato che vi sia per lui un aldilà”?

“Io non ci vedo nessun orgoglio né sano né insensato. Non dico che meritiamo un aldilà, né che la logica ce lo dimostri; dico che ne abbiamo bisogno, lo meritiamo o no, e basta. Dico che ciò che passa non mi soddisfa, che ho sete d’eternità, e che senza questo tutto mi è indifferente. Ne ho bisogno, ne ho bisogno! Senza di essa non c’è più gioia di vivere e la gioia di vivere non ha più nulla da dirmi. E’ troppo facile affermare:” Bisogna vivere, bisogna accontentarsi della vita. E quelli che non se ne accontentano?

L’ossessione della morte nasce dalla pienezza della vita; è perché sentiamo che la vita ci trascende che la vogliamo senza fine. I deboli si attaccano alla vita. Io voglio inculcare agli uomini la fede in un’altra vita personale. Amo tanto la vita che perderla mi sembra il peggiore dei mali. Non amano veramente la vita coloro i quali se la godono, giorno per giorno, senza curarsi di sapere se dovranno perderla del tutto o no”. (De Unamuno-Ricordi d’infanzia, cit. in Antologia ad uso delle Università popolari, Ed. del Movimento popolare, p. 107)

La novità, il Mistero, questa immortalità di cui è ammalato l’uomo risplende in maniera somma e definitiva nella Trasfigurazione di Gesù.

Per capirla bene occorre contestualizzarla.

Siamo poco dopo l’annuncio della Passione da parte di Gesù: motivo di scandalo e sconcerto, un Messia crocifisso, niente di più lontano dalle aspettative dei discepoli!

Gesù, però, rivela sul monte il suo Mistero, la sua divinità.

La Trasfigurazione è il segno che l’Eterno è entrato nel tempo, il Nuovo nel vecchio, la Vita nella morte, lo Straordinario nell’ordinario.

Niente più è come prima!

La Quaresima, dunque, è lasciare il vecchio per il Nuovo, il meno per il più, l’angustia del finito per gli spazi infiniti del Mistero.

La Trasfigurazione, in particolare, rivela il fondo del Mistero, la sostanza del reale.

“Egli (Gesù) dal giorno in cui per la bontà del Padre e la cooperazione dello Spirito Santo brillò benevolo su di noi, ci trasse dalla tenebra alla sua mirabile luce. Sole che non conosce tramonto brilla e distende sul nostro capo l’eternità. (S. Gregorio Palamas, “Abbassò i cieli e discese”, omelie, Ed. Qiquajon, Comunità di Bose p. 240-241)

Sole che distende sul nostro capo l’eternità. Questo Sole, Cristo, trasforma così tutta l’insufficienza della realtà. Questo è il messaggio della Trasfigurazione. Il quotidiano, la routine di ogni giorno, nasconde un grande Sole, una grande luce, una grande Presenza che distende sul nostro capo l’eternità.

Al capitolo 49 della sua regola, S. Benedetto spiega ai monaci come devono vivere l’osservanza della Quaresima: “dedicarsi all’orazione con lacrime”, “orationi cum fletibus…operam demus”. Inoltre : “Nel gaudio dello Spirito Santo, egli dice, (il monaco)  offra a Dio, cioè sottragga al corpo un poco di cibo, di bevanda, di sonno, di loquacità, di scherzi, e nel gaudio di un soprannaturale desiderio aspetti la santa Pasqua”.

La sfida è tutta qua: vivere di momenti, l’attimo fuggente, o di eternità? Solo il Sole che è Cristo distende sul nostro capo, già nel tempo e nello spazio, l’eternità.

 

 

Preghiamo                                     

Io spero, Signore;

attendo la sua parola.

Con il Signore è la misericordia

e grande è con lui la redenzione.

Il Signore ci doni la sapienza del cuore

e ci custodisca nel suo amore. Amen.

 

Martedì 6 marzo 2018

Signore, io credo: io voglio credere in Te.
O Signore, fa che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane.

O Signore, fa che la mia fede sia libera: cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce ed i doveri che essa comporta e che esprima l’apice decisivo della mia personalità: credo in Te, o Signore.

O Signore, fa che la mia fede sia certa; certa d’una sua esteriore congruenza di prove e d’una interiore testimonianza dello Spirito Santo, certa di una sua luce rassicurante, d’una sua conclusione pacificante, d’una sua assimilazione riposante.

O Signore. fa che la mia fede sia forte; non tema le contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce; non tema le avversità di chi la discute, la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi nell’intima prova della Tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza.

O Signore, fa che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione con Dio e alla consacrazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo fortunato possesso. (Paolo VI)

 

Dal libro della Genesi  (Gen 12,2-3)

Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.

Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra».

 

Riflessione: Credere o non credere?

A noi immersi nella vecchiezza del peccato e nel buio dello scetticismo, la Parola di Dio delinea un itinerario di speranza  e di crescita gioiosa.

Quaresima, tempo di conversione, di “metanoia

E’ proprio questo che ci prospetta la liturgia quaresimale, ma non come sforzo dell’uomo, ma come dono, regalo di Dio. E’ Lui stesso che apre uno squarcio sull’Impossibile, che ci rende familiare l'”Impossibile”.

La grande questione, la grande domanda riguarda la fede. Siamo di fronte alla grande scelta: credere o non credere? E’ ragionevole credere? E’ anche la grande questione dell’uomo contemporaneo. Dio sembra chiedere cose assurde: ad Abramo il sacrificio del figlio, a Gesù, agnello innocente, la tragedia della croce. Perché? E’ giusto, è ragionevole?

Di fronte a queste “pretese” della fede, l’uomo contemporaneo reagisce in due modi: o con una fede, ritagliata però sulla propria misura, o con una incredulità, anch’essa ritagliata sulla sua misura, senza avere il coraggio in verità né dell’una, né dell’altra. Anche per essere “increduli” ci vuole coraggio!

“Sono un credente, non un religioso, ha affermato il grande critico letterario Geno Pampaloni, credo nel destino, in qualcosa o qualcuno che ci accompagna, ci sorveglia, qualche volta ci punisce, stimola la nostra vita. Escludo la vita individuale dopo la morte…” (Anna Maria Biscardi,   Colloqui amichevoli con Geno Pampaloni, Ed. Polistampa, Firenze, 1996, p. 30)

Così come ci ritagliamo a nostra misura una “incredulità” che non ci esponga a troppi pericoli, che ci permetta tutte le scelte che ci aggradano, ma che ci consenta anche un angolino di sicurezza in caso di estrema necessità.

Ondeggiamo fra una fede che non regge l’urto della realtà con le sue prove drammatiche e una incredulità che ci promette chi sa quale libertà, ma in realtà ci consegna al caos e alla morte come ci insegnava il racconto sul diluvio universale.

La Liturgia ci risponde con due figure: Abramo e Gesù.

Abramo è il contrario di Adamo ed Eva, dell’umanità ribelle del diluvio universale o della Torre di Babele,

Abramo è l’uomo che Dio spinge oltre l’angusta misura della mente umana. Egli è l’alternativa all’uomo che vuole costruire la sua grandezza da sé.

I primi capitoli del Genesi sono pieni di questo peccato, il peccato dell’uomo che pretende di costruire la sua grandezza senza Dio o contro Dio, che pretende di farsi da sé. Abramo, invece, è colui al quale Dio dice: “Io ti farò grande”!

Abramo è l’uomo obbediente (ob-audio) che ascolta la Voce che chiama, la Voce che lo chiama per nome: “Abramo, Abramo”!

E’ l’uomo dell'”Eccomi”, come Maria! “Eccomi” implica la chiamata di Un Altro. Abramo si lascia fare, plasmare da Un Altro. Sopra tutto è l’uomo che si fida e si affida a una misura più grande della sua, anche se non capisce, sicuro che la misura di Dio è per un bene più grande.

Per questo sperimenta continuamente la possibilità dell’Impossibile, le immense risorse che si nascondono “oltre la mente”.

Infatti genera un  figlio, quando il suo corpo è già segnato dalla morte e Sara sua moglie è sterile; una volta avuto il figlio, si sente fare da Dio l’atroce richiesta di sacrificarlo a Lui. Ma proprio questo incessante “Eccomi” di Abramo, gli fa sperimentare la fecondità che sta oltre la misura della mente umana e così non solo non perde suo figlio, ma diventa per tutta la storia il sacramento della speranza contro ogni speranza, della vita anche di fronte alla morte.

Dio non solo gli conserverà il figlio, ma gli darà una discendenza più numerosa delle stelle del cielo e della sabbia che è sul lido del mare.

Dio con questa richiesta, apparentemente assurda, in realtà vuole sapere, o meglio, vuole che Abramo ne sia consapevole, se per lui è più importante essere padre o essere figlio (di Dio).

Se Abramo è attaccato più al figlio (Isacco) che al Padre (Dio) vuol dire che anche lui è diventato come Adamo ed Eva, un uomo che pretende di costruire la sua grandezza da sé.

Dio invece gli aveva detto: “Io ti farò grande”! Se il dono (il figlio) prende il posto del Donatore (Dio) allora Abramo farà la fine dei progenitori, dell’umanità primordiale distrutta dal diluvio.

Con questo “Eccomi” invece, Abramo ha dimostrato che per lui il Donatore è più importante del Dono, che per lui è più importante essere figlio di Dio che essere padre di Isacco, perché la misura di Dio è più grande della sua e gli permette di salvaguardare e di valorizzare al massimo la sua umana paternità. La vita nasce dall'”Eccomi”, non dalla presunzione (Adamo) o dal delirio di onnipotenza.

 

Preghiamo                                    

Io t’invoco, mio Dio: dammi risposta;

rivolgi a me l’orecchio e ascolta la mia preghiera.

Custodiscimi, o Signore, come la pupilla degli occhi,

proteggimi all’ombra delle tue ali.

Donami la sapienza del cuore

e custodiscimi nel tuo amore. Amen.

 

Mercoledì 7 marzo 2018

Vieni, Spirito santo,

non guardare alla nostra debolezza:

illuminaci e guidaci nei momenti difficili,

sostienici nella ricerca del bene,

riversa in noi la tua carità.

Fa’ che sperimentiamo nella nostra vita

che non c’è niente di più grande dell’amore:

non c’è altro per cui valga la pena vivere se non l’amore.

Tu sei l’amore vero, o Dio. Amen.

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 9, 2-10)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.

Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.

Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbi, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.

Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

 

Riflessione: La Trasfigurazione di Gesù

Gesù, poco prima, aveva annunziato la sua prossima Passione e morte. Annunzio durissimo per gli Apostoli che guardavano a Lui come al Messia vincitore e trionfatore, motivo dunque di turbamento e sconvolgimento.

Gesù allora prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, li porta sul monte e si trasfigura davanti a loro. Perché?

Perché quando tra poco, quei tre lo vedranno pendere esanime dalla croce, quando lo vedranno umiliato e sconfitto, dovranno andare oltre la loro povera mente e i loro poveri occhi; dovranno ricordare il Mistero di gloria e di luce che quel Corpo nasconde. Vedranno il dolore e dovranno credere alla gioia, vedranno l’umiliazione e la sconfitta e dovranno credere alla gloria e alla vittoria, vedranno la morte e dovranno credere alla vita, vedranno il buio e dovranno credere alla luce.

Dovranno credere alla voce del Padre che dalla nube proclama: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo”!

“Ob-audite”, ascoltatelo, obbedite! La misura di Dio supera la vostra, fidatevi, obbedite! Voi vorreste un trionfo, ma sarebbe un piccolo trionfo terreno, politico, di un momento.

Questo è il paradosso che autorizza la speranza e la pace del cuore: la nube è luce, la croce è gloria, l’umiliazione trionfo, la morte è vita.

Fidatevi. Entrate nella mia misura! La tragedia della croce, la sconfitta della morte in realtà apre, squarcia un orizzonte nuovo. Entrate nella misura dell’Amore sconfinato di Dio. Ascoltate, “ob-audite”, obbedite a questa nuova misura e sarete felici.

La Trasfigurazione è il segno che là dove tutto sembra finire (la Croce) in realtà tutto comincia per sempre.

La realtà più bella e preziosa è proprio quella che non si vede come in Gesù. Con la Trasfigurazione, dice S. Gregorio Palamas, “Egli dava a chi vede, la capacità di vedere l’Invisibile” e di comprendere l’incomprensibile. (S. Gregorio Palamas, “Abbassò i cieli e discese”, Ed. Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (Bi) 1999 p. 230-231)

Non per nulla, Egli, Gregorio Palamas, seguendo il racconto di Luca (“Passarono circa otto giorni”) collega la Trasfigurazione al mistero dell’ottavo giorno, al giorno cioè che è oltre ogni misura temporale.

“La bellezza vera, la meta più alta del desiderio, dice S. Basilio, quella bellezza che abbraccia la natura divina e beata, può essere contemplata soltanto da colui che, con mente purificata, fissa lo sguardo nei suoi bagliori e nelle sue grazie, ne partecipa in certa misura, come se una fioritura di luce avesse dato nuovo colore al suo sguardo. Per questo anche il volto di Mosè, mentre conversava con Dio, fu glorificato”. (S. Basilio citato da S. Gregorio Palamas in “Abbassò i cieli e discese” Ed. Qiqajon, p. 233)

Ma perché questo avvenga dobbiamo entrare in un’altra misura, quella di Dio che sta oltre la mente.

Perciò, come Abramo, come Maria, come Gesù, dobbiamo imparare a dire incessantemente: “Eccomi”, dobbiamo cioè apprendere l’obbedienza di figli. “Facciamo ciò che ci dice, speriamo quanto ci promette”.(S. Agostino, Sermo 79, Città Nuova Editrice, vol. XXX,1, 1982, Roma, p. 575 )

Gesù si è sempre chiamato Figlio. Dobbiamo ritrovare la gioia di sentirci figli, che si abbandonano, si consegnano all’Impossibile perché l’Impossibile, quello che sembra impossibile, è più ragionevole del possibile.

  1. Paolo ce lo conferma. Di chi dobbiamo aver paura, di Dio? Ma se non ha risparmiato nemmeno il proprio Figlio per salvarci! Di Cristo Gesù? Ma se è morto e risorto e intercede per noi! Anzi S. Paolo aggiunge che con il Figlio, il Padre ci donerà ogni cosa. Possedere Cristo vuol dire possedere tutto. Ancora una volta ci viene detto che il cristianesimo non è rinuncia, ma possesso e godimento in Cristo di tutti i beni. Convertirsi vuol dire davvero possedere l’Impossibile.

 

Preghiamo

Signore Dio nostro,

fa’ che i tuoi fedeli,

formati nell’impegno delle buone opere

e nell’ascolto della tua parola,

ti servano con generosa dedizione

liberi da ogni egoismo

e nella comune preghiera a te, nostro Padre,

si riconoscano fratelli.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Giovedì 8 marzo 2018

Spirito santo,

dolcezza infinita e pace del cuore:

orienta sempre più a te la nostra vita,

fa’ che con cura giorno dopo giorno

ci orientiamo a te,

nella ricerca costante della tua volontà

e del tuo progetto di salvezza.

Obbedire a questo progetto non è esperienza da schiavi,

ma è libertà di figli chiamati a vivere la vita stessa di Dio. Amen.

 

Dal libro dell’Esodo (Es 20,1-17)

In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:

Non avrai altri dèi di fronte a me.

Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.

Ricordati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.

Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.

Non ucciderai.

Non commetterai adulterio.

Non ruberai.

Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

 

Riflessione: I comandamenti segno dell’Alleanza

Meditiamo il testo famosissimo dell’Esodo sui dieci comandamenti. Dobbiamo subito precisare, però, che il testo non parla di dieci comandamenti, ma di dieci parole.

La differenza non è da poco. Non siamo di fronte ai dieci articoli di un codice, siamo di fronte a dieci “parole”.

La parola è il mistero che lega due persone, è il mezzo che le rivela l’una all’altra. La parola implica un rapporto, un dialogo, un Incontro, uno scambio delle profondità dello spirito. Dio qui non “comanda”, “parla”, apre il mistero del suo cuore all’uomo, comunica le profondità del suo Spirito alla creatura. Dio si rivela all’uomo, lo incontra, si dona a lui.

Tant’è vero che il contesto in cui Dio offre le “dieci parole”, è quello dell’Alleanza sul Sinai. E Alleanza è una categoria sponsale nella Bibbia.

Dio qui, più che presentare una tavola di norme e di precetti, rinnova la memoria di una storia.

“Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù”.

Dio qui non impone tanto una legge, quanto ricorda una storia bella, la storia della salvezza.

Io sono Colui che ti ha restituito la tua libertà, la tua dignità, che ti ho salvato dall’oppressione e dalla schiavitù dell’Egitto. Io sono la tua storia.

Io sono il tuo Dio, Io sono tuo, ti appartengo. Tu mi conosci, tu hai sperimentato il mio intervento, la mia misericordia, il mio amore.

La tua vita è cambiata! Io non sono il Dio lontano, irraggiungibile, sono il tuo Dio, quello che tu hai sperimentato nella tua storia.

Per questo non ti prostrerai davanti agli idoli e non li servirai. Non ti prostrerai davanti alla menzogna, al vuoto, al nulla degli idoli, non ti piegherai, non adorerai le proiezioni dei tuoi bisogni, non abbasserai la tua dignità, non “servirai”, perché tu sei fatto per “regnare” non per servire!

Ricordati del giorno di sabato, vuol dire ricordati di Me, di quello che Io sono stato  e sono per te, di quello che ho fatto e continuo a fare per te”.

In fondo anche l’Eucaristia che cos’è se non un Memoriale, una Memoria viva e attualizzante dell’evento pasquale? Ma non è certo una norma, è la mia vita!

Non si tratta tanto di sapere ciò che è permesso e ciò che è vietato. Si tratta di capire che io sono parte di una storia, che la mia storia è un rapporto, una relazione, una compagnia, che non sono solo, che questo Dio che mi parla non è il Dio di tutti e di nessuno, ma è il mio Dio. “Io sono il Signore, tuo Dio.

Dio, mio? Come può essere?

E’ Lui che mi ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavo. E’ Lui la mia libertà.

“Quelli che non vogliono essere redenti, considerano ogni cosa come roba d’acquisto: non vogliono essere acquistati, quel che vogliono è vendere.

Eppure niente di meglio per loro, che essere redenti dal sangue di Cristo e giungere così alla pace di Cristo. Del resto a che serve acquistare, in questo mondo, beni temporali e transitori, siano il denaro siano i piaceri del ventre e della gola siano gli onori della lode umana. Che altro sono tutte queste cose, se non fumo e vento? e passano tutte, corrono via. Guai a chi si sarà attaccato alle cose che passano, perché insieme passerà anche lui. Non sono tutte queste cose un fiume che precipita e corre verso il mare? Guai a chi vi cade dentro perché sarà trascinato nel mare”.

(S. Agostino, Comment. in Ioan., 10,4.6)

 

Preghiamo                                     

Ritornate a me con tutto il cuore, dice il Signore,

perché sono misericordioso e pietoso.

Donaci, o Dio, la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Venerdì 9 marzo 2018

Vieni, Spirito di Dio.

donaci la sapienza del cuore,

l’intelligenza delle cose spirituali,

la capacità di riconoscere il bene e le sue vie.

Rette sono le vie del Signore,

i giusti camminano in esse!

Anche noi camminiamo e veniamo a te, o Dio,

con canti di gioia:

Spirito santo canta in noi! Amen.

 

Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 1,22-25)

Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.

Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

 

Riflessione: “Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sarebbe stata fatta un’ingiustizia”

Il cristiano non è schiavo di una legge, è schiavo di una Rivelazione che lo precede e lo trascende, è schiavo di una grandezza che gli è donata.

Cosa che non hanno capito né i Giudei, né i Greci, come dice S. Paolo.

“Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sarebbe stata fatta un’ingiustizia. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sarebbe stata fatta un’ingiustizia”. (S. Gregorio Nazianzeno, Carmina, “Carmine LXXIV”, PG II,I, vv. 4-12)

Solo all’interno di questo rapporto mi ritrovo infinito, libero. Solo se mi riscopro creatura, paradossalmente mi riscopro infinito, solo se rispondo all’Infinito sono infinito. Se non fossi tuo, dice ancora S. Gregorio Nazianzeno, il mio esistere sarebbe una tirannia. Solo nell’Infinito ritrovo la mia verità e libertà.

Paradossalmente la legge di Dio è la mia libertà e la dissolutezza (assenza di legami) è la mia schiavitù. Non si libera l’uomo eliminando il suo rapporto con l’Infinito, ma si mortifica, si riduce. Facendo dell’uomo un Assoluto ne facciamo un “ab-solutus”, uno sciolto da tutti e da tutto, uno cioè che rimane solo con se stesso, col suo nulla e con la sua morte.

La legge di Dio, intesa non in senso moralista, è la Vita, la libertà:” Non ti prostrerai…!” Proprio prostrandomi davanti a Dio imparerò a non prostrarmi davanti a nessun altro!

L’uomo che vive il suo rapporto con l’Infinito ritrova immancabilmente anche il suo rapporto armonioso col finito e allora ecco: il valore della famiglia (“onora il padre e la madre”, “non commettere adulterio”) il valore della dignità della persona e quindi “non rubare”, “non testimoniare il falso” ecc.

L’obbiezione del mondo a tutto questo era già presente al tempo di S. Paolo ed è terribilmente attuale.

I giudei chiedono i miracoli e i greci cercano la sapienza.

Come oggi: i “religiosi” chiedono  miracoli, cioè un Dio a loro uso e consumo, al loro servizio, a loro immagine e somiglianza, che li rassicuri con interventi straordinari; gli altri, i laici, cercano una sapienza autosufficiente, cercano di risolvere da sé l’enigma del mondo.

Noi, invece, predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per gli uni, stoltezza per gli altri, ma per noi potenza e sapienza di Dio.

Perché la stoltezza e la debolezza della croce sono il segno dell’amore di Dio, il segno del legame che l’Infinito ha stabilito col finito.

La vera legge del cristiano è il Crocifisso, Rivelazione della Potenza e della Sapienza dell’Amore divino.

L’amore però è forte ed esigente, per questo Gesù, entrato nel Tempio, fa un gesto forte: fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal Tempio, gettò a terra il denaro, ne rovesciò i banchi.

Il grande pericolo è uno solo, quello di ridurre il Mistero, ridurre l’Infinito al finito, ridurre le dieci parole a dieci precetti, ridurre Dio a un mio strumento o a un risultato del mio ragionamento. Per questo Gesù, con un comportamento decisamente insolito, e con una forza e una determinazione inaspettate, caccia fuori dal Tempio i venditori e i cambiavalute e indica un nuovo Tempio, il Tempio del suo Corpo.

E’ nel Mistero di questo Corpo offerto in sacrificio per noi che si compie la suprema Rivelazione dell’Amore di Dio. E’ nel mistero di questo Corpo, che noi ritroviamo l’unica, suprema legge dell’Amore, a cui Dio per primo ha obbedito.

Non bisogna ridurre Dio alla nostra misura. Questa è l’eterna tentazione dell’uomo. “Io credo, sì, ma a modo mio”. Unire gli interessi di Dio al mio interesse, al mio guadagno. Occorre ritrovare la dimensione dell’adorazione vera, quella della creaturalità. Non bisogna offrire cose a Dio, ma noi stessi; è l’atteggiamento della creatura che afferma il primato di Dio, che serve Dio, ma non si serve di Dio. Con quale autorità fai queste cose?- gli domandano i Giudei. Con l’autorità della croce, dell’amore. Cristo, Lui per primo infatti, vive l’appartenenza al Padre, Lui per primo afferma il Padre in ogni momento della sua esistenza. Allora la legge suprema della mia vita è Cristo per cui io posso affermare l’Infinito nel “finito” di ogni giorno.

 

Preghiamo                                    

Non c’è nessuno come te in cielo, Signore,

perché tu sei grande e compi meraviglie:

tu solo sei Dio.

Donaci la sapienza del cuore

e custodiscici nel tuo amore. Amen.

 

Sabato 10 marzo 2018

Spirito di Dio,

tu ci suggerisci che cosa chiedere

e preghi in noi con gemiti inesprimibili.

Fa’ che chiediamo sempre e solo di vivere l’amore e nell’amore.

Fa’ che comprendiamo in profondità le parole del Signore:

voglio l’amore e non il sacrificio.

Tutto il resto ci verrà donato in aggiunta. Amen.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (Ef 2,4-10)

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.

Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.

Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

 

Riflessione: La nostra forza è la fede

“Sui fiumi di Babilonia là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra, appendemmo le nostre cetre. Là ci chiedevano parole di canto, coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori. Come cantare i canti del Signore in terra straniera? Se ti dimentico Gerusalemme, si paralizzi la mia destra. Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”.

E’ questo il canto appassionato e struggente dei sopravvissuti di Israele, deportati in terra straniera, dopo la sconfitta subita ad opera di Nabuccodonosor, Re di Babilonia, nel 586 a.C.

Alla luce di questa tragedia che si è abbattuta sul suo popolo, Israele si va interrogando ed elabora una teologia della storia.  Questi fatti dolorosi non sono casuali, sono il frutto del peccato, di scelte sbagliate.

Da una parte “il Signore Dio mandava premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri perché amava il suo popolo, dall’altra essi disprezzarono le sue parole e schernivano i suoi profeti”.

Di qui la disfatta completa d’Israele. Israele cioè doveva capire che la sua forza stava nella fede; smarrita quella, Esso diventava il più vulnerabile dei popoli.

Ma anche di fronte al peccato e al tradimento di Israele, Dio non si stanca mai di perdonarlo e interviene sempre per rialzarlo. Egli si serve anche di Ciro, re di  Persia, pagano, per liberare il suo popolo e riportarlo nella sua terra. Ecco dunque l’editto di Ciro nel 538 a.C.: “Chiunque di voi appartenga al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta”!

Dio non si dimentica mai del suo popolo e come Signore della storia guida gli eventi verso la salvezza e la liberazione.

Anche il male, il dolore, nelle mani di Dio Provvidente, diventano uno strumento di bene e di salvezza. “Omnia cooperantur in bonum”, tutto coopera al bene, come dice S. Paolo.

La storia cioè è il teatro in cui opera la Grazia di Dio, il suo amore gratuito. “Per Grazia, infatti, siete stati salvati”. S. Paolo parla della “traboccante ricchezza della sua Grazia” “e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere”. Non abbiamo opere da vantare, meriti da rivendicare, abbiamo solo da contemplare l’opera che noi stessi siamo, ciò che Lui ha operato in noi, Lui ricco di misericordia.E qual è l’opera che noi siamo? “Con Lui (Dio) ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo Gesù”.

Notate: ci ha già risuscitati, ci ha già fatti sedere nei cieli. Noi sediamo nei cieli oggi, ora! Apparteniamo già al secolo futuro. Siamo già risorti e ascesi al cielo in Cristo e con Cristo. Viviamo già la vita eterna.

Quello che conta nella vita cristiana non sono i miei meriti, le mie opere buone, ma quello che già mi è stato dato come dono. Non si tratta di conquistare, di arrampicarsi sui sentieri ripidi della virtù, si tratta di lasciarci conquistare, si tratta di accogliere il Dono grande, la novità della Grazia. Si tratta di contemplare ciò che Dio ha già operato in me senza alcun mio merito. E’ la gratuità della croce di Gesù. “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”.

Questo annuncio di Gesù è da una parte drammatico, allude infatti alla sua prossima crocifissione, e dall’altra consolante perché ci assicura la vita, la vita eterna. Egli ci dice che credere equivale a impossessarsi della vita. Gesù, infatti, si riferisce all’episodio narrato nel libro dei Numeri secondo il quale gli ebrei, guardando al serpente di bronzo costruito da Mosè, venivano guariti dal morso dei serpenti velenosi. Allo stesso modo Gesù innalzato sulla croce, diventa l’oggetto dello sguardo appassionato e fiducioso di tutti gli uomini. Chi guarda a Lui, chi crede nel suo amore, chi si fida di Lui ha la vita.

Preghiamo                                     

Anima mia, benedici il Signore,

non dimenticare tanti suoi benefici:

egli perdona tutte le tue colpe.

Il Signore ci doni la sapienza del cuore

e custodisca nel tuo amore. Amen.